RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il canto, finalmente!

Da sinistra: José Cura, Maria Tomassi e Federico Santi.

Con la disinvoltura di un grande uomo di spettacolo e la galanteria di un hidalgo, José Cura ha incuriosito, incantato e affascinato il pubblico catanese convenuto il 15 settembre alla Villa Bellini (replica a Palermo il 17) per il secondo degli appuntamenti del BIC (Bellini International Context) affidati al polo palermitano, uno dei tre, insieme a Messina e a Catania, che si divideranno fino al 6 ottobre gli oneri e gli onori delle celebrazioni in ricordo del Cigno catanese.

Bellini&Friends, questo il titolo del concerto, ha visto alternarsi sul podio appunto il tenore José Cura e il soprano Maria Tomassi, accompagnati dall'Orchestra Sinfonica Siciliana diretta da Federico Santi, con un programma che, volendo idealmente far attorniare Vincenzo Bellini dai più grandi protagonisti del melodramma italiano, spaziava da Ruggero Leoncavallo a Giacomo Puccini per finire con Giuseppe Verdi, che alternavano le loro pagine più significative a tre autentiche gemme della produzione belliniana: la Sinfonia e il duetto “Va', crudele e al dio spietato” da Norma, e “Col sorriso d'innocenza… Oh, sole! ti vela…” da Il Pirata. La serata, introdotta dal maestro Gianna Fratta e dal Sovrintendente dell'Orchestra Sinfonica Siciliana Andrea Peria, ha visto l'attribuzione del “Premio Bellini”, offerto dalla Regione Siciliana e appunto dalla FOSS, al grande tenore argentino, che lo ha ricevuto quasi scherzandoci su, con quel sapido spirito di humour che ha caratterizzato tutti i suoi interventi extracanori. Sì, perché, oltre che cantare e celiare col pubblico e con gli orchestrali, Cura si è esibito a metà della serata anche come direttore d'orchestra, guidando con perizia e grande musicalità nella Sinfonia de La forza del destino di Verdi la strepitosa Orchestra Sinfonica Siciliana, che già sotto la bacchetta del maestro Santi aveva dato prova di notevole coesione, di precisione estrema negli attacchi e nei rilasci del suono, di morbidezza timbrica e di raffinatezza di nuances specie quando accompagnava i cantanti, confermando ancora di essere una delle gemme più preziose e degne di cura del panorama isolano.

Il recital ha preso le mosse da Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, con il Prologo “Si può? Si può”, “Qual fiamma avea nel guardo, l'Intermezzo e “Recitar… Vesti la giubba”, brani che hanno dato modo al pubblico di gustare appieno le doti di Cura e del soprano Maria Tomassi, presentata dal tenore argentino come “un angelo”. Non sappiamo se la Tomassi sia realmente un angelo, ma è certo che cantava come tale, sia nelle pagine impervie di Leoncavallo, come in quelle di Puccini, del quale ha interpretato con Cura “Tu, tu, amore tu?” da Manon Lescaut, sia in quelle altrettanto scoscese da Il Pirata, dove ha offerto un'Imogene in grado di superare con nonchalance tutte le difficoltà della temibile cabaletta “Oh, Sole! Ti vela di tenebre oscure”, evidenziando oltre a un'egregia tenuta dei fiati un'ottima musicalità e una zona media di notevole spessore, mentre nel duetto Adalgisa-Pollione “Va' crudele, e al dio spietato” ha reso con grande pathos la figura della giovane sacerdotessa, mostrando una rara eleganza di fraseggio e quella cura delle sfumature sonore che sole riescono a rendere davvero significante la musica del Cigno.

Quanto a Josè Cura va detto che tra i suoi meriti maggiori, oltre l'innata musicalità e la potenza espressiva di una voce dotata di una zona media piena e bronzea, va ascritta certamente l'assenza di un terribile difetto che affligge molti tra i tenori contemporanei, difetto che a un orecchio addestrato appare francamente insopportabile: mi riferisco all'ossessiva tendenza ad anticipare gli attacchi, al precipitarsi sulle note, quasi strappandole durante l'emissione, tutti orrori dai quali Cura è immune, il che, unito a una morbidezza ormai poco consueta di emissione, alla capacità di sfruttare al meglio le mezze voci e alla facilità nel cantare sulla voce (altro illustre sconosciuto a molti tenori), con acuti sempre ben coperti e mai striduli, ha reso davvero esaltanti le pagine a lui affidate, in special modo l'intenso e tragico “Dio! Mi potevi scagliar” da Otello di Verdi, dove la sua vasta tavolozza timbrica e il suo cantare come in un sussurro nella parte iniziale hanno commosso l'uditorio che, alla fine, è esploso in incontenibili applausi, e in entusiaste richieste di bis, alle quali il galante argentino ha risposto cedendo il passo alla Tomassi, che ha eseguito “Vissi d'arte” da Tosca, confermando ancora una volta le sue doti, mentre Cura ha poi proposto, definendolo “l'inno nazionale dell'opera”, “Nessun dorma” da Turandot, interpretato con una morbidezza di emissione e sonorità soffuse, culminanti in acuti luminosi, che hanno riportato questa celeberrima pagina ai fasti dei grandi cantanti della prima metà del ‘900.

Giuliana Cutore

17/9/2023

La foto del servizio è di Giacomo Orlando.