RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Uno strepitoso Rigoletto a Palermo

Si vanno affermando oramai nel mondo della regia d'Opera contemporanea due fondamentali tendenze di impostazione e realizzazione drammaturgica che tendono a fissarne e ridefinirne i peculiari aspetti performativi. La prima tende ad innovare e modernizzare il melodramma a tutti i costi nelle scene, nei costumi e soprattutto con l'intersezione, nelle parti esclusivamente strumentali, di azioni cinetiche e mimetiche che sovente risultano non pertinenti e spesso distraenti, fuorvianti e incomprensibili rispetto alle indicazioni didascaliche del testo. La seconda invece, pur lasciando inalterate le indicazioni di riferimento icastico del libretto e quindi muovendosi all'interno di una lettura che può essere definita in modo semplicistico “tradizionale”, riesce tuttavia a marcarne e sottolinearne in modo plastico le caratteristiche, le peculiarità e soprattutto la connotazione distintiva. Quest'ultimo è stato senza alcun dubbio il caso della regia di Rigoletto realizzata da John Turturro, opera andata in scena da sabato 20 a domenica 28 gennaio al Teatro Massimo di Palermo e realizzata in collaborazione con il Teatro Regio di Torino, con la Shaanxi Opera House e con l'Opéra Royal de Wallonie-Liège.

La creatività ed estrema originalità della regia di John Turturro si è proprio mostrata in tutta la sua forza nel riuscire ad imprimere nuova vitalità al dramma tutto umano del protagonista eponimo senza alterarne o modificarne le caratteristiche distintive impresse da Giuseppe Verdi e dal suo librettista Francesco Maria Piave. Egli ha ridotto all'osso l'azione drammaturgica, senza tuttavia cristallizzarla e renderla statica, ma anzi accentuando l'eloquenza emotiva che si sprigionava da ogni personaggio e che veniva consegnata, per ridefinirsi e potenziarsi, a saggi movimenti gestuali e corporei che si assorbivano e si amalgamavano, quasi in assoluta magia simbiotica, in uno con il flusso della musica. Insomma una regia che si è concentrata e affidata alla mimesis facendosi veicolare dalla musica.

Le scene di Francesco Frigeri, nude e scarnificate, facevano sì che ogni personaggio sbalzasse come in un bassorilievo da uno spazio semplice ed essenziale con tutta la sua forza, mentre i costumi di Marco Piemontese riuscivano ad accentuare ulteriormente questa ricerca di penetrare per lo più l'aspetto mentale e psichico non solo del protagonista ma anche dei vari deuteragonisti. E in questa direzione si sono caratterizzate anche le magnifiche coreografie di Giuseppe Bonanno così come le falcianti luci di Alessandro Carletti.

Il tenore Ivan Ayón Rivas ha prestato al Duca di Mantova tutta la baldanza e la tracotanza che ne caratterizza il segno distintivo, esibendo una squillo tenorile davvero smagliante assieme ad una dizione quanto mai chiara e nitida. Sicuramente avrebbe potuto evitare qualche piccola asprezza coprendo con maggiore cura alcuni acuti. Il soprano Giuliana Gianfaldoni ha trasfuso in Gilda tutta la sua tenera e delicata mestizia attraverso una vocalità morbida e suadente dove spiccavano ottimi filati, splendide mezze voci e trilli davvero rifiniti e raffinati.

Il baritono Amartuvshin Enkhbat, che avevamo già avuto modo di apprezzare per la prima volta dal vivo al Festival Verdi 2019 in Nabucco, ha esibito in pieno tutta la bellezza, la forza, la possanza, il nitore e la rotondità di una voce bronzea dal timbro pieno e penetrante, senza mai forzare e spingere le sonorità. Il tutto unito ad una cura davvero esemplare della conduzione dell'espressività e del fraseggio. Le altissime qualità dell'artista mongolo sono prima implose e poi esplose come un tuono in tutta la loro veemenza nel duetto “Piangi, fanciulla… Si, vendetta”, scatenando il delirio del foltissimo pubblico presente in teatro alla recita del 28 gennaio (si è registrato il sold out) che ha richiesto un primo bis della cabaletta al quale è seguito, caso davvero rarissimo nella storia delle rappresentazioni di melodrammi contemporanei, un secondo bis che ha scatenato ovazioni di grande entusiasmo.

Il basso Aleksei Kulagin (Sparafucile) ha evidenziato una voce piena, lunga e ben timbrata, mentre il mezzosoprano Valeria Girardello si è rivelata una Maddalena con accurata e ben levigata zona media. Nicolò Ceriani (Monterone,) pur avendo buone qualità vocali, forse avrebbe dovuto imprimere maggior tragica e funesta forza sia vocale che interpretativa al suo personaggio. In ruolo Alessio Verna (Marullo) e Italo Proferisce (il Conte di Ceprano). Il coro maschile del Teatro Massimo di Palermo, preparato con cura e ottima professionalità dal maestro Salvatore Punturo ha contribuito non poco alla riuscita dell'intero spettacolo: da segnalare l'eccellente esecuzione della scala cromatica a bocca chiusa che imita nel corso della Tempesta il cupo e funereo ululare del vento. Funzionale ed adeguato alla rappresentazione anche il Corpo di Ballo del teatro.

Daniel Oren ha condotto l'intera partitura in modo davvero ragguardevole imprimendo grinta energia e spessore alle parti strumentali ma nel contempo riuscendo anche a dare grande risalto alle parti liriche e cantabili con una performance che ha letteralmente, come si dice in gergo teatrale, bucato l'uditorio. Grandi applausi, acclamazioni e ovazioni anche per lui da parte di tutto il pubblico.

Giovanni Pasqualino

29/1/2024

La foto del servizio è di Rosellina Garbo.