RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Niente è così difficile come non ingannare se stessi

Come tutti i rapporti umani, anche la relazione amorosa è profondamente influenzata, per non dire determinata, dalla percezione che l'uno ha dell'altro: percezione che si slarga sino a inglobare il vissuto amoroso, le singole tappe di esso, gli alti e i bassi, costruendo al tempo stesso una dinamica sentimentale molto spesso non coincidente con quella reale, intessuta dei nostri desideri, delle nostre aspettative, che metta in ombra o distrugga gli aspetti negativi, per far sì che l'oggetto dell'amore possa confondersi con l'immagine ideale che ne abbiamo, o che ne vogliamo avere ad ogni costo.

Questo ambivalente meccanismo implica due conseguenze: la prima, che non esiste né una realtà o una verità che possa dirsi oggettiva e permanente, non solo del rapporto amoroso, ma di tutta la nostra esistenza, giacché anche il modo in cui non vediamo noi stessi e gli altri che ci circondano è totalmente dipendente dalla nostra percezione soggettiva, e lo stesso dicasi per tutte le vicende che ci riguardano; la seconda, che proprio per la sua evanescenza, la realtà come la percepiamo è pericolosamente vicina al sogno, e che in una dimensione onirica si svolge appunto il nostro riflettere su di essa. La verità, ammesso che ne esista una, si costruisce istante per istante, e istante per istante si modifica: il guaio sta nel non esserne coscienti, nel voler cristallizzarla, ma soprattutto nel non voler accettare che le singole verità che ci andiamo costruendo spesso non coincidono affatto con le vicende che abbiamo effettivamente vissuto.

Su queste complesse relazioni tra verità, falsificazione e dimensione onirica si snoda la pièce di Mario Vargas Llosa, Appuntamento a Londra, proposta alla Sala Verga dello Stabile di Catania dall'1 al 10 dicembre per la regia di Mario Sciaccaluga, con le scene e i costumi di Anna Varaldo, le musiche di nogravity4monks e le luci di Gaetano La Mela: su uno sfondo ipermoderno, disadorno ed essenziale, si snoda un lungo dialogo tra i due protagonisti, un uomo d'affari, Luca, e una enigmatica figura femminile, Maddalena, che afferma di essere la sorella di un amico d'infanzia di Luca. Dopo un inizio tranquillizzante, quasi un rievocare sereno delle vicissitudini giovanili, segnato però dalle continue obiezioni dell'uomo che non ricorda di aver mai visto questa sorella, il dialogo diventa sempre più convulso, in un continuo ricostruire, mistificare e demistificare il ricordo di tale vissuto, dove solo due elementi continuano a ripetersi ossessivamente: un pugno dato da Luca all'amico che aveva tentato un approccio erotico, e la femminilità aggressiva di Maddalena, femminilità che via via si svelerà come dovuta a un cambiamento di sesso. Il dialogo tra i due continua a complicarsi, di pari passo col cristallizzarsi dell'unica verità che ciascuno continua a ripetere a scapito di tutte le altre, interrotto da due intermezzi, uno citato da Walt Whitman affidato al polo femminile, e uno canoro, il malinconico Vedrai, vedrai di Luigi Tenco cantato dal protagonista maschile. Tra ripetizioni ossessive di battute e pulsioni di morte, il finale, segnato dall'irrompere sulla scena del segretario di Luca, segretario che altri non è che la stessa enigmatica donna in abiti maschili, svela la dimensione onirica della vicenda, incubo e sogno ad occhi aperti, sogno di desiderio e di rimozione ad un tempo, irrompere a livello subconscio di quel femminile presente in ogni maschile e viceversa, che già aveva teorizzato Thomas Mann ne La morte a Venezia e che in Orlando di Virginia Woolf ha trovato la sua trattazione più suggestiva e completa.

Un lavoro che, nella sua intensa brevità, attanaglia lo spettatore, coinvolto al punto da seguire attonito questi bruschi, continui capovolgimenti semantici ed esistenziali, che senza l'estrema professionalità di Lucia Lavia e Luigi Tabita sarebbe potuto scadere nel grottesco o nell'incomprensibile tout court. Va infatti notata la perfetta dizione dei due attori, che pur nella concitazione delle scene ha fatto sì che non si perdesse nessuna battuta, come anche il loro muoversi con scrupolosa misura sul palcoscenico, pur nell'esagitazione talvolta voluta, evidenziando ad ogni istante quel senso di provvisorietà che domina tutto il testo, di continua codificazione e decodificazione delle singole verità dei protagonisti. Va da sé che in tale dimensione fluida il compito più gravoso dal punto di vista attoriale è toccato a Lucia Lavia, contemporaneamente uomo, donna, nemico e amante, in un caleidoscopio di personalità frammentate che ha saputo rendere con perfetti passaggi di registro soprattutto vocali, quasi contrassegnando le diverse e contraddittorie percezioni che di Maddalena aveva Luca.

Giuliana Cutore

5/12/2023

La foto del servizio è di Antonio Parrinello.