RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Aurea Aida… forma divina…

Quel che più mi preoccupa, almeno da una ventina di anni, delle opere liriche, è la non troppo remota possibilità di imbattermi in cervellotiche regie la cui unica aspirazione sembra quella di fare coscienziosamente a pugni con il libretto, con l'ambientazione storica, e in definitiva con la musica stessa. Tali regie giustificano speciosamente se stesse affermando di voler rendere attuale l'opera lirica, ma dimenticano che il fatto stesso che un qualsivoglia dramma, lirico o in prosa, venga rappresentato ancor oggi afferma con il suo solo essere portato sulle scene la sua attualità, un'attualità ben diversa da quella cronachistica o politica, un'attualità atemporale, che allude ai grandi snodi umani: il conflitto tra morale e potere, tra amore e ragione, insomma tutti quei conflitti che costituiscono l'essenza stessa di quello stranissimo, meraviglioso animale sociale che è l'uomo.

Quando però so che il regista è Enrico Castiglione mi reco a teatro con animo molto tranquillo, certa come sono che non assisterò a violenze né sul libretto, né sull'ambientazione storica, né su nulla: sì, perché Castiglione ha la rara dote di riuscire ad amplificare senza parere le interconnessioni semantiche, storiche, sociologiche ed etiche espresse da un'opera lirica, in una parola di far emergere dal plot quelle che sono le valenze culturali ed umane dello stesso, valenze delle quali la musica è un elemento essenziale e imprescindibile, ma che, paradossalmente, ha necessità assoluta del contorno registico adeguato per poter emergere in tutta la sua potenza.

In tal senso, l'Aida che ha debuttato il 12 luglio al teatro greco di Siracusa ha mostrato come una oculata sinergia di scenari, di colori, di luci e soprattutto di gestualità possa incastonarsi nel paesaggio senza sbavature, senza traumi, ma traendo dal boschetto che si affaccia sul teatro, e sulla sinistra vicinanza delle terribili latomie descritte in tutto il loro orrore da Tucidide, motivi espressi a livello solo subliminale dal libretto di Ghislanzoni. Un maestoso spazio scenico enucleato sull'immensa cavea, delimitato da sfingi e obelischi, sul quale si ergeva, simbolo del potere assoluto dei faraoni, una immensa testa lignea, che si tramutava con pochi gesti in tempio, in volto pietrificato nell'essenza della sovranità, in prigione illuminata da bagliori di torce: su questo spazio si muovevano con gesti lenti, a tratti ieratici, i protagonisti e le masse corali, senza compiacimenti romantici né emotivi, quasi a sottolineare una tragedia senza tempo, vegliata sinistramente dalla cupa statua di Anubi che dominava con la sua scura sagoma tutto l'ultimo atto.

I colori scenici, tutti giocati sulle tonalità dell'oro, interrotte solo qua e là dalle vesti ora azzurre, ora rosse, ora nere di Amneris e Aida, rendevano palpabile l'antichità atemporale del regno dei Faraoni, stagliandosi sulle cupe ombre del boschetto. La scena del trionfo di Radames, lunga e maestosa, rispecchiava la solenne lentezza dei trionfi dell'antichità, poco concedendo alla gratuita spettacolarità, ma molto e giustamente al carattere sacrale che possedevano tali riconoscimenti al duce assoluto che aveva trionfato sui nemici della patria.I bellissimi costumi di Sonia Cammarata, come sempre fedeli sin nei minimi particolari a quanto ci hanno tramandato le indagini archeologiche, si sono inseriti su questa regia in maniera perfetta: ogni accessorio, ogni elemento, dal bracciale ai calzari, dai veli ai mantelli, facevano rivivere le pitture delle tombe faraoniche, quasi animate per una subitanea magia.

Né la parte musicale di questo maestoso spettacolo è stato da meno: l'orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania (era presente tra il pubblico anche il Sovrintendente del Teatro, Rita Gari Cinquegrana), ha mostrato, sotto la direzione di Gianluca Martinenghi, sciolta sicurezza e un buon amalgama orchestrale, riuscendo a momenti a imprimere sinesteticamente alla sua esecuzione quelle calde, ramate tonalità che la regia richiedeva.

Marcello Giordani, nel ruolo di Radames, ha confermato le sue doti canore: sicuro ed esperto, mai stentoreo, ha impresso alla sua vocalità toni rattenuti, che hanno permesso alle due protagoniste femminili di eviscerare dai loro personaggi il nodo di sentimenti contrastanti che le domina. Clara Calanna, Amneris, ha cantato con grande morbidezza di suono, traendo dalla principessa egiziana soprattutto il suo aspetto dolente, di donna innamorata sino allo spasimo. Dotata di un'ottima zona media, ha dato il meglio di sé nel quarto atto, quando l'amore e la gelosia hanno preso il sopravvento sul suo ruolo regale, creando momenti di vocalità avvolgente e maestosa che rammentavano la grande Ebe Stignani. Francesco Landolfi è stato un Amonasro feroce e cupo, regale sempre, anche nel duetto con Aida, dove le sue sonorità hanno risuonato selvagge e ferine, disperate e terribili: bello il timbro e ottima la presenza scenica, soprattutto nel secondo atto, subito dopo la scena del trionfo.

Bravi anche Christian Faverelli e Salvo di Salvo, rispettivamente il sacerdote Ramfis e il re: comprimari di tutto rispetto, hanno condotto con buona professionalità le loro parti, gestendo con adeguata vocalità i recitativi.

Othalie Graham è stata un'Aida fiera e risoluta, riuscendo a contemperare la duplicità del personaggio, contraddittoriamente schiava e figlia di re: ha trovato accenti lirici di notevole bellezza in “O cieli azzurri… o dolci aure native”, ma anche momenti truci nei duetti con Amonastro e Radames. Bella voce, dalle notevoli possibilità, pur con qualche incertezza nei passaggi di registro, dovrebbe però perfezionare i legati ed il fraseggio, cosa che le permetterebbe di conferire maggior dolcezza ed espressività alla sua emissione.

Infine, davvero eccezionale la prova fornita dal Coro Lirico Siciliano, diretto dal maestro Francesco Costa: finalmente un coro che adempiva il ruolo del coro d'opera, personaggio a tutto diritto, ma al tempo stesso quasi commento all'azione, com'era nella tragedia greca. Misurato nella vocalità, corposo nell'emissione, non sovrastava mai, ma si inseriva tra cantanti ed orchestra seguendone passo passo le esigenze, contribuendo a creare un magico amalgama sonoro che ha offerto all'enorme pubblico presente momenti di assoluto incanto e musicalità.

Giuliana Cutore

13/7/2014