RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

Un ballo in maschera

al Comunale di Bologna

La Stagione del Teatro Comunale di Bologna è stata inaugurata con l'opera Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, nell'allestimento curato da Damiano Michieletto e coprodotto con il Teatro alla Scala di Milano.

Oggi l'opera è da considerarsi come il primo effettivo traguardo della maturità più acclarata del compositore. Il percorso stilistico è raffinato e di eccelsa drammaticità, anche se non mancano citazioni e situazioni di belcantistica vocalità rappresentata sia da personaggi sia in situazioni che strappano il mezzo sorriso e trasportano dalla truce realtà della vicenda. Ė altrettanto indicativo come Verdi ha scolpito i personaggi, complice anche il bravo librettista, preferendo il lato privato delle debolezze umane e quelle del Ballo ottocentesco, ma di memoria precedente, non sono per niente diverse da quelle di oggi: amore, potere, vendetta, soprusi, magie.

Prendendo spunto da tale concetto il regista Damiano Michieletto trasporta l'azione ai giorni nostri, Riccardo è il governatore di Boston in piena campagna elettorale per la rielezione. Lo spettacolo visto già al Teatro alla Scala, non mi convinse del tutto allora e neppure oggi. L'idea è anche pertinente e tutto ciò che vediamo nell'opera sappiamo può essere di piena attualità. Tuttavia, quello che manca a questa regia è la magia teatrale, troppo freddo, troppo distaccato in una cornice, moderna ma banale, poco incisiva e sovente dozzinale, in questo caso la splendida mano di Paolo Fantin non è così efficace come in altre occasioni. L'ufficio elettorale della prima scena è la stessa abitazione privata di Renato ed Amelia, la brutta scalinata sulla quale siede il pubblico per la maga televisiva, una volta girata diventa un postribolo di periferia di scarsa atmosfera. L'abuso di luci e led, peraltro non del tutto pertinenti, trasformano scene che dovrebbero essere grandiose in avanspettacolo di terza categoria. Sulla recitazione dei singoli non c'è stata una minuziosa precisione e debita sfaccettatura, sovente lasciati al caso in continuo movimento senza logica, soprattutto nel secondo atto ove ci si sarebbe aspettata una maggior tensione, quasi da thriller. Il regista avrebbe potuto anche esimersi dal simulare guarigioni improvvise di persone affette da gravi problemi di handicap, Ulrica è una maga non in questo senso, e l'idea della ciarlatana televisiva si era già vista. Nell'insieme uno spettacolo che anche alla seconda visione ha deluso, ci sono stati dei ritocchi rispetto l'originale (le prostitute del secondo atto ridotte ad una, era più pertinente) ma è lecito pensare, pur nel rispetto delle idee creative altrui, che non tutte le opere liriche debbano e possano per forza essere attualizzate, e non aiutavano i modernissimi e comuni costumi di Carla Teti, seppur in linea con la regia.

Michele Mariotti debuttava come concertatore sullo spartito. Non abbiamo avuto gli stessi risultati del recente Tell, ma siamo sempre alla presenza di un giovane direttore in continua ascesa. Perfetto calibratore dell'insieme, accurato suggeritore di meticolosa precisione nelle parti d'orchestra, trascina il tutto con buona professionalità, ma non trova la chiave dei momenti drammatici, non crea quella tensione nel colore orchestrale che risponde soprattutto al secondo atto, ove prevale un accompagnamento di routine senza nervo e frenesia. Anche in altre occasioni si adagia in quest'abitudine, mentre in altre prevale un ritmo più appropriato. Bellissimo invece il pianissimo, poi in crescendo, del concertato finale dell'opera. Ė prevedibile che una maggior frequenza dello spartito porterà a risultati migliori.

Non entusiasmante il cast proposto per l'edizione bolognese. Gregory Kunde, Riccardo, è un cantante che in questa seconda fase della sua carriera ha potuto osare titoli un tempo impensabili, ma questo non significa che tutto sia lecito e tutto sia opportuno. Nella performance di Bologna abbiamo avuto un tenore preciso, ancora con ottimi fiati, sicuro nell'acuto e discreto fraseggiatore, il che non è poco considerando i tempi. Quello che mancava era lo smalto vocale, uno smalto che avrebbe dovuto essere seducente ed armonioso, purtroppo non oggi presente nel carniere del tenore sia per vocalità propria sia per anni di carriera. A questo va aggiunto un colore vocale monotono che l'ha penalizzato soprattutto nel grande duetto del secondo atto.

Maria José Siri, Amelia, deve invece fare i conti con una tecnica e un registro acuto non precisi, pertanto molte note sono arrivate al limite, se non omesse, ma il personaggio emergeva per capacità scenica e una sostanziale aderenza all'accento. Luca Salsi, Renato, ci ha regalato una prova ben superiore a quella estiva all'arena di Verona. Dotato di voce importante e piena, si prodiga in un canto manierato e abbastanza preciso, avesse dalla sua anche un colore più variegato e non sempre truce, sarebbe su altri piedistalli.

Delude l'Ulrica di Elena Manistina perché è un soprano travestito da contralto, che utilizza eccessivamente la zona “di petto” nella sezione grave ma il medium è chiaro e per nulla suggestivo. Poco frizzante e con voce aspra l'Oscar di Beatriz Diaz. Bene i due congiurati Samuel e Tom, Frabizio Beggi e Simon Lim, musicali e precisi. Completavano la locandina con buona professionalità Paolo Orecchia (Silvano), Bruno Lazzaretti (un giudice) e Luca Visani (servo d'Amelia):

Pubblico numerosissimo e in gran soirée per quest'apertura di stagione, poco partecipe d'applausi durante l'esecuzione ma al termine ha decretato un autentico successo a tutta la compagnia, tranne due isolati “buu” al reparto tecnico.

Lukas Franceschini

18/1/2015