RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Simon Boccanegra

alla Fenice di Venezia

Il Teatro La Fenice inaugura la stagione d'opera 2014-2015 con un doppio spettacolo: il nuovo allestimento di Simon Boccanegra e la ripresa de La Traviata di Robert Carsen, che aprì la Fenice ricostruita nel 2004, giunta ormai alla centesima replica. Tralascio l'opera tratta dal romanzo di Dumas, ne abbiamo parlato più volte in questa sede, l'ultima a settembre con la stessa protagonista di oggi, puntando invece sul nuovo allestimento.

Anche questa volta La Fenice ha perso l'occasione di proporre la prima versione di Simon Boccanegra che fu rappresentato nel teatro veneziano nel 1857. Sarebbe stato coraggioso e un contributo musicale non indifferente, poiché la seconda versione, quella eseguita (Milano, 1881) è ormai di repertorio consolidato e conosciuto a tutti. Peccato! Tuttavia la programmazione attuale della Fenice è rivolta al grande pubblico turistico di Venezia, consolidando la forma dei teatri d'oltralpe con recite quasi giornaliere e ripetizione di allestimenti anche nel corso della stessa stagione. Dal punto di vista economico è cosa molto fruttuosa, però dovrebbe essere parallela ad un percorso musicale e scelte di produzione più ricercate, per non correre il rischio di scivolare nella trita routine.

Con Boccanegra Verdi si rivela autore di estrema modernità, tralascia le generose melodie e cabalette di un passato anche recente per approdare ad una tinta drammatica, cupa, uniforme dell'intera opera. Il pubblico veneziano non comprese tale lucida concezione, lo farà molti anni dopo a Milano, tuttavia la caratterizzazione musicale del Boccanegra è di primordine. L'opera dipende indubbiamente dal protagonista ma figura centrale è anche Paolo, “uno Jago primordiale”, che non sogna fama, glorie e ricchezze ma emana solo odio. Gli altri personaggi ruotano attorno a questi, pur con parti di assoluto rilievo, ma sono drammaturgicamente inferiori e lasciano traccia per scene e cantabili di grande effetto.

Per questa nuova produzione ritornava sul podio della Fenice Myung-Whun Chung, bacchetta per la quale gli encomi sono riduttivi. La sua concertazione è stata di assoluto valore riuscendo a scavare nella complessa partitura le diverse tinte musicali. Da un lato la cupa e sinistra e pessimistica vicenda, dall'altra l'ardente sentimento della giovane coppia e il paternalismo sentimentale nel rapporto tra padre e figlia. Il direttore non segue una strada specifica ma si plasma ai diversi momenti della scrittura musicale accentuando dinamiche di eccelso senso teatrale che rilevano la drammaticità e l'atmosfera plumbea della partitura in maniera eccellente.

Debuttante nel ruolo protagonista il giovane baritono Simone Piazzola che ci regala un ottimo Doge, ben cantato, seppur con timbro chiaro ma autorevole nell'accento e con un fraseggio eloquente. Sfaccettato e ben sicuro negli eventi: tenero e manierato con la figlia, autoritario nella grande scena del consiglio, logorato e stanco nel finale. Supera brillantemente la prova, la quale probabilmente in seguito sarà più collaudata, e dimostra che qualora un cantante abbia qualità non è necessario arrivare a cinquant'anni per essere interprete.

Al suo fianco l'impetuoso Gabriele Adorno di Francesco Meli, autorevole cantante con voce di pregio che sfodera accenti di prim'ordine accomunati ad una musicalità innata soprattutto nell'accurato dosaggio dei fiati. In quest'occasione è emersa la sua progressiva maturazione del personaggio con maggior incisività e aderenza stilistica.

L'Amelia di Maria Agresta non convince pienamente, se da un lato è doveroso rilevare lo splendido smalto vocale e il sensuale accento morbido nella zona centrale, dall'altra si riscontrano “vuoti” nella zona grave e problemi tecnici mai risolti nel registro acuto che risulta sovente forzato e stridulo. Eppure il personaggio le calzerebbe a pennello e propendiamo positivamente augurandoci che possa rimediare a breve a tali mancanze.

Impressionante è stato il Fiesco di Giacomo Prestia, nobile, fiero e allo stesso tempo vendicativo. La voce è ancora in ottime condizioni in tutti i settori, con particolare morbidezza e un fraseggio rilevante. Julian Kim disegna un Paolo Albiani viscido ed ambiguo tanto da ritagliarsi uno spazio del tutto personale nello spettacolo. Molto bravo anche Luca Dall'Amico, calibrato Pietro, assieme alla corretta Francesca Poropat, ancella, e Roberto Menegazzo, capitano dei balestrieri.

Un plauso speciale al Coro diretto da Claudio Marino Moretti, scrupoloso e di grande fascino canoro, mentre l'Orchestra pur seguendo le direttive del maestro non era sempre raffinata e precisa.

Lo spettacolo ideato da Andrea De Rosa convince a tratti perché spesso si lascia sfuggire occasioni di valida resa teatrale, accentuandone altre di banale significato. Su una scena anche di bell'impatto dove il mare è giustamente sempre presente, coperto da una parete cangiante in colore secondo le scene, colpisce maggiormente la luce che filtra tra le colonne (ottima la realizzazione di Pasquale Mari) che una regia capace di individuare i sentimenti e le gesta dei personaggi lasciati quasi a loro stessi. Non convince per scarsa maestosità la scena del consiglio, come pure la scena interna del terzo atto, ancor meno la scelta di far vedere la salma di Maria e di farla comparire al termine come fantasma per portarsi Simone nell'aldilà. Alessandro Lai realizza costumi molto raffinati pur nella semplicità medievale di una Genova sobriamente vestita. Grande successo al termine con prolungati applausi per tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

8/1/2015

Le foto del servizio sono di Michele Crosera.