RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Anna Bolena

al Donizetti di Bergamo

Il Teatro Donizetti ha notevolmente cambiato impostazione in seguito al cambio della direzione del Teatro cittadino. L'arrivo del nuovo direttore Francesco Micheli ha in parte rivoluzionato la programmazione della stagione lirica che da quest'anno si unisce al circuito Aslico della regione Lombardia. Il secondo titolo donizettiano del 2015 è stata Anna Bolena, opera che tuttavia non era così assente dal Donizetti poiché è stata rappresentata recentemente nel 2000 e nel 2006. La motivazione della riproposta va intesa in funzione della nuova revisione critica musicale curata da Paolo Fabbri, il quale si è adoperato in un lavoro di sicuro interesse, ma è doveroso rilevare che l'opera fu già rappresentata, e incisa, nella sua integrità, semmai sono molte sfaccettature musicali (tonalità, orchestrazione ecc.) che hanno fatto notare nuove forme di ascolto. Questa nuova versione critica accentua ancor più il contesto storico sia ottocentesco e lo stile del canto, sia drammaturgico nell'ambiente della corte Tudor. Una fatica di grande pregio e stile quella di Fabbri, la quale è da sommare allo studio e al progetto di rivalutazione in sede musicologica dell'intero catalogo donizettiano.

Anna Bolena, composta da Gaetano Donizetti nel 1829-30, fu rappresentata nella Stagione di Carnevale 1830 al Teatro Carcano di Milano con cast stellare, nel quale si annoverano i nomi di Giuditta Pasta, Giambattista Rubini e Filippo Galli. Fu un successo pieno che andò consolidandosi nelle recite successive e nelle riprese in altri teatri. Verso la fine dell'Ottocento purtroppo l'opera cadde in un incomprensibile oblio fino al 1948 con la prima "riesumazione" a Barcellona (nel cast Sara Scuderi, Giulietta Simionato e Cesare Siepi), poi Bergamo nel 1956 (protagonista Renata Heredia Capnist) e l'edizione più riuscita e strepitosa nel 1957 al Teatro alla Scala con Maria Callas diretta da Gianandrea Gavazzeni. In seguito l'opera sarà sempre presente nei cartelloni internazionali soprattutto perché il ruolo è di grande fascino per primedonne belcantiste che sarebbe qui superfluo elencare.

Non da tutti considerato capolavoro, ebbe in tutte le epoche solerti denigratori, comunque la si pensi, chi scrive crede trattasi di uno dei vertici operistici del bel canto, e anche l'opera che segna l'inizio della maturità compositiva nella carriera di Donizetti.

Casualmente nello stretto intervallo di una settimana ho avuto occasione di assistere a due spettacoli operistici la cui regia era firmata dalla stessa mano. Infatti, sia il "nuovo" Idomeneo veneziano (cui ho scritto recentemente) sia questa Anna Bolena, "vecchia" perché allestimento proveniente da Cardiff, erano di Alessandro Talevi. Due spettacoli completamente diversi e con il senno di poi posso affermare che il titolo di Donizetti si colloca su un piano molto superiore rispetto all'opera mozartiana.

Una scena quasi fissa, di Madeleine Boyd, delimita una corte tetra e truce come sappiamo fosse quella di Enrico VIII, cambi veloci e repentini, supportati da un ottimo studio di luci curate da Matthew Haskins. Registicamente la funzionalità è sovente alterna. Due grandi cadute di gusto: durante l'overture si assiste al parto della protagonista e alla successiva delusione per la nascitura femmina; durante il duetto Seymour-Enrico del I atto questo mima un rapporto sessuale con tanto di feticismo nel passare la lingua sullo stivale della nuova amante. Nel primo caso il regista sarebbe dovuto essere più erudito dell'ambiente storico, nel quale la maternità femminile è marginale rispetto la condanna al patibolo, anche se un escamotage fu di far passare la regina per adultera, nel secondo caso mi è parso del tutto inutile questo tipo di regia ormai logoro e abusato e in particolar modo durante un duetto ad alta tensione drammatica. Per il resto la narrazione scorre limpida e drammatica come si conviene, magari ci saremmo aspettati più scavo psicologico sul personaggio di Enrico, ma nel complesso il risultato è positivo. La stessa Boyd è artefice anche dei costumi, meno felici della scena, che si sviluppano in uno stile ibrido, anche se la fattura è pregevole, peccato perché il contesto storico avrebbe meritato altro per una più completa omogeneità.

Per la prima volta sono stati chiamati I Virtuosi Italiani all'arduo compito di ensemble orchestrale, e il risultato è stato molto positivo, ascoltare quest'orchestra di gran valore ha contribuito a risollevare le sorti dell'opera. In effetti, la precedente formazione, probabilmente per scarsa esperienza, sovente denunciava appariscenti mancanze. Ottima la riconferma del Coro Donizetti istruito da Fabio Tartari, che ha atteso al proprio compito senza sbavature e dimostrando ottima professionalità. Una menzione la merita anche la banda di palcoscenico che era formata da giovani del Conservatorio cittadino, ovviamente intitolato a Donizetti.

Sul podio abbiamo ritrovato con gran piacere un maestro concertatore di ottime caratteristiche: Corrado Rovaris. Egli ci ha pienamente convinti con la sua direzione precisa, una lettura plastica che ben si adattava alle diverse situazioni della lunga partitura. Tutti i recitativi erano curati con maniacale dinamismo, i cori erano vibranti e ripetuti. La bacchetta seguiva i "da capo" con ottime variazioni, e tenendo sempre un perfetto equilibrio tra buca e palcoscenico, non perdendo mai di vista le difficili esigenze dei cantanti. Un lavoro molto preciso di scavo musicale e d'ottima preparazione nello stile della partitura.

Il cast era una proposta attendibile nell'odierno panorama. Protagonista era Carmela Remigio che ha interpretato una combattuta e fiera Anna Bolena, ha saputo affrontare il difficilissimo ruolo con temperamento e una buona esecuzione di scrittura, molto efficace sia nei passi concitati sia in quelli più patetici. Talvolta alcuni portamenti non erano del tutto precisi o quantomeno accomodati ma si può sorvolare, quello che invece mi ha deluso è stata, nella grande scena finale, l'imitazione palese di altra celebre collega con tutti i suoi difetti in un canto articolato, poco espressivo, prevalso da accenti languidi e un fraseggio estremizzato in volumi vocali non lineari. A mio parere, fosse stata se stessa avrebbe avuto maggiore convinzione.

Sofia Soloviy, Giovanna Seymour, è cantante che con il mezzosoprano non ha nulla da spartire, inoltre non possedeva nemmeno una voce, peraltro neppure bellissima, che marcasse la differenza con la protagonista, tuttavia nel suo carniere aveva alcune frecce, incisività, dosaggio dei fiati e temperamento, che le hanno permesso di risolvere il ruolo senza pecche clamorose.

Un discorso a parte merita la valutazione del tenore Maxim Mironov che interpretava Lord Percy. Immagino tutti siano a conoscenza che la parte fu scritta per Rubini, pertanto di difficilissima esecuzione soprattutto nel registro acuto. Nella storia del disco, in studio e live, forse due soli tenori hanno saputo realizzare almeno le intenzioni dell'autore, pur con debiti accomodamenti, gli altri, quelli buoni, hanno dovuto abbassare la parte e sotto taluni aspetti ridimensionare vocalmente il tipo di vocalità richiesta pur raggiungendo anche soddisfacenti risultati. Mironov supera la prova, una prova molto ardua poiché ha cantato la parte tutta in tono e integralmente con i da capo. La voce non è delle più suggestive timbricamente ma egli è stato capace di un'interpretazione soddisfacente, utilizzando un canto forbito nel fraseggio e una rilevante musicalità. Ovvio chi si aspettava un Percy eroico e dal timbro pastoso potrà essere rimasto deluso, il nostro risolve sovente i passaggi acuti e le puntature in falsetto, unico modo attraverso il quale può reggere una simile parte e tessitura. Personalmente penso vada lui dedicato un plauso convinto.

Su Alex Esposito, Enrico VIII, non c'è nulla da aggiungere da quanto scritto in altre sue performance, si tratta di uno, dei pochi, migliori cantanti italiani del momento. La voce è bella, tornita, robusta, omogenea, e il canto è sempre raffinato e scolpito con precisione. Spiace notare che invece interpretativamente è monotono e ripetitivo, rifacendosi sempre al suo personale cliché leporelliano. In quest'occasione il Re d'Inghilterra non è emerso.

Molto bene la prova di Manuela Custer, Smeton, che disegna un paggio brioso e veemente accomunando una vocalità precisa e molto forbita nello stile. Pertanto è da considerare che la non felicissima prova veneziana estiva debba essere attribuita a un momentaneo periodo di non perfetta forma fisica. Molto incisivo e particolarmente convincente il Lord Rochefort di Gabriele Sagona, corretta la prova di Alessandro Viola nel ruolo di Sir Harvey.

Teatro gremito in ogni ordine di posto e successo trionfale al termine.

Lukas Franceschini

16/12/2015

Le foto del servizio sono di Rota-Teatro Donizetti.