Il sogno di Amina
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In una lettera a Giovanni Battista Perucchini del 3 gennaio 1831 Bellini scrive: “Sapete che non scrivo più l'Ernani perché il soggetto doveva soffrire qualche modificazione per via della polizia, e quindi Romani per non compromettersi l'ha abbandonata, ed ora scrive La Sonnambula ossia I due fidanzati svizzeri, ed io ne ho principiata l'introduzione ieri appena”. Non sapremo mai se la reale motivazione di cambiamento dell'opera fosse quella dichiarata dal compositore catanese o altra, certo è che Bellini e Romani in poco meno di due mesi portarono a termine la nuova opera, debuttando il 6 marzo del 1831 al teatro Carcano di Milano e registrando un successo straordinario. In ogni caso tale cambiamento fu sicuramente di buon auspicio e apportatore di ampia fortuna, perché da allora La Sonnambula non è più uscita dai cartelloni dei maggiori teatri d'opera del mondo e ancor oggi rimane fra gli evergreen che riscuotono sempre entusiasmanti e calorosi consensi da parte del pubblico internazionale.
La perenne freschezza dell'opera venne confermata perfino da Eugenio Montale, all'epoca prestigioso critico musicale de Il Corriere d'Informazione, che in una recensione del marzo 1955 in occasione di una rappresentazione dell'opera diretta da Leonard Bernstein e con protagonista Maria Callas, avvenuta alla Scala di Milano, annotava: “ La Sonnambula è l'opera più pura di Bellini… il soffio musicale che la percorre da capo a fine è tale da assicurare a questo spartito (finché si troveranno gli esecutori adatti) l'incanto di una gioventù perenne”. Riguardo all'edizione dell'opera presentata in un nuovo allestimento scenico dal Teatro Massimo di Palermo (chi scrive ha assistito alla recita del 19 ottobre), in coproduzione con il Teatro Real di Madrid, il Teatro del Liceu di Barcellona e il New National Theatre di Tokyo, possiamo affermare, riprendendo il giudizio del grande Premio Nobel italiano, che il melodramma semiserio belliniano ha confermato ancora una volta l'incanto della sua “gioventù perenne”, perché anche stavolta ha trovato gli “esecutori adatti”.
La regia di Bárbara Lluch ha voluto mettere in primo piano gli aspetti emotivi e psicologici della protagonista, nella quale il sonnambulismo diventa la chiave di lettura attraverso la quale penetrare nel suo mondo interiore, particolarmente nella sua componente inconscia, onirica e fantastica. In modo particolare il finale gioioso (posticcio?) viene attenuato e sfumato in qualcosa di più complesso e umanamente vibrante, cioè con l'immagine di un'Amina che canta sull'orlo di un tetto e che poi si accascia su di esso, sorvolando e lasciando disattesi alla rappresentazione visiva gli ultimi versi da happy ending del libretto da “Ah! m'abbraccia, e sempre insieme…”. Le scene di Christof Hetzer e i costumi di Clara Peluffo riuscivano a ricreare alta suggestione visiva ed emotiva allo spettacolo, in quanto venivano presentati con connotati più versati sul fiabesco-boschivo anziché proposti con i consueti moduli da scenetta campestre idillico-bucolica tipica delle figurine di certi pastorelli di Capodimonte. Significative e funzionali all'intero spettacolo le luci di Urs Schönebaum.
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Il soprano Jessica Pratt (Amina) che abbiamo avuto modo di ascoltare più volte, ha deliziato l'uditorio con la sua perfetta presa di voce, le sue suggestive mezze voci, i suoi curatissimi filati, la sua tecnica fonatoria rifinita e accurata, attraverso la quale ogni legatura e ogni singola pausa acquista valore ed espressività. Il tenore Francesco Demuro ha esibito fin dalla cavatina “Prendi: l'anel ti dono” una lama di voce assolutamente brillante accompagnata da una densità e pastosità di suono che si espandeva nella mestissima aria del secondo atto “Tutto è sciolto. Più per me non v'ha conforto” attraverso la quale riusciva a interpretare e rendere appieno la più alta, penetrante e struggente mestizia del personaggio. Il basso Carlo Lepore (il Conte Rodolfo) confermava le sue doti di basso elegante, ben timbrato, dalla fonazione ampia, lunga, dal fraseggio impeccabile e dalla dizione netta e pulita: pregevole la sua interpretazione dell'aria “Vi ravviso, o luoghi ameni”. Buone le interpretazioni fornite dal soprano Ilaria Monteverdi (Lisa) che ha eseguito l'aria del secondo atto “De' lieti auguri”, che sovente viene tagliata, dal mezzosoprano Daniela Pini (Teresa), dal basso Mario Orozco (Alessio) e dal tenore Pietro Luppina (Notaro).
L'orchestra del Teatro Massimo di Palermo diretta dal validissimo Giuseppe Mengoli ha svolto il suo compito con perizia e puntualità, evitando sempre di soverchiare i cantanti con sonorità eccessive e riuscendo a realizzare al meglio le indicazioni dinamiche e agogiche della partitura belliniana, rese sempre con eleganza, raffinatezza ed estrema leggerezza. Efficaci, opportuni e sempre ben calibrati gli interventi del coro preparato e guidato da Salvatore Punturo.
Va anche rilevato l'apporto importante del Corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo diretto da Jean-Sébastien Colau che, avvalendosi delle seducenti coreografie di Iratxe Ansa e Igor Bacovich, riusciva ad accrescere e potenziare la fascinazione fantastico-onirica dell'intero spettacolo. Riportiamo per dovere di cronaca i nomi dei validi e valenti ballerini: Emilio Barone, Alessandro Casà, Alessandro Cascioli, Michaela Colino, Debora Di Giovanni, Annamaria Margozzi, Gianluca Mascia, Sabrina Montanaro, Michele Morelli, Diego Mulone, Yuriko Nishihara, Martina Pasinotti, Riccardo Riccio, Giovanni Traetto, Jessica Tranchina, Dennis Vizzini. Illuminanti ed esplicative le note del programma di sala redatte dal professor Giuseppe Montemagno.
Giovanni Pasqualino
20/10/2025