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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Don Giovanni diventa un divo rock nella New York degli anni Ottanta

L'opera di Mozart delude al Teatro Carlo Felice di Genova nell'allestimento di Rosetta Cucchi

Ormai non fa neanche più notizia, né desta scandalo che un'opera fra le più celebri e complesse da mettere in scena, come Don Giovanni di Mozart, venga presa di mira dalle trovate di registi in vena di far spettacoli d'avanguardia, ma che in verità null'altro fanno che ripetere cliché teatrali triti e ritriti. Infatti, a ben osservare, di novità se ne son viste ben poche nell'allestimento che Rosetta Cucchi ha rimontato al Teatro Carlo Felice di Genova dopo averlo già proposto a Tenerife, e in Italia a Modena, Piacenza e Lucca. Il libertino diventa qui un divo Rock nella New York anni Ottanta, una sorta di star da locale notturno alla moda, annoiato e deluso dagli eccessi di una vita dissoluta, eppure osannato dalle fans che sono state vittime della sua seduzione. Il tutto, anche nelle scenografie di Andrea De Micheli e nei costumi di Claudia Pernigotti, appare alquanto trash, con idee già viste in passati spettacoli (la trilogia Mozart/Da Ponte di Peter Sellars ha aperto la strada ad un modo di operare registico che oggi rasenta la maniera), rimodulate con eccessi che rovinano belle soluzioni visive, come la pantomima della violenza subita da Donna Anna in un taxi durante le note dell'Ouverture e poi proiettata in video durante l'aria “Or sia chi l'onore”, alternate ad altre di pessimo gusto, vedasi la presenza in scena di demoni e angeli in ali e mutande nere mostrati in gabbia nella scena della mascherata orgiastica sul finire del primo atto, palpeggiati dal protagonista e da Leporello. C'è poco mistero e vera seduzione in questo Don Giovanni a tratti confuso e pretenziosamente provocatorio nella deriva morale presentata agli occhi dello spettatore ormai smaliziato, che non aiuta la spenta direzione di Christoph Poppen a uscire da una concertazione lineare e pulita, eppure priva di reale fantasia.

Almeno sulla carta il cast vocale parrebbe dei migliori. Invece il divo Erwin Schrott, che ha preso parte nel ruolo del titolo alla sola prima recita (nelle repliche hanno cantato il giovane Michele Patti e il già affermato Alessandro Luongo) è un Don Giovanni dalla vocalità opaca, in difficoltà nel trovare finezze di fraseggio che gli permettano di intonare la Serenata a mezzavoce, o di fare appello all'ambiguità un poco melliflua del personaggio per renderne l'appeal seduttivo meno ruvido e, per questo, più insinuante. All'opposto Alex Esposito, che continua a essere un Leporello di riferimento, centra il personaggio rendendolo dinamico e incisivo attraverso una recitazione moderna e una vocalità che si fa asciutta (talvolta troppo), tutta giocata sul significato della parola per donare al ruolo quell'elettrica vibrazione che gli compete. Il tenore Patrick Vogel è un Don Ottavio dalla vocalità assai composta, che non sa donare respiro alla magnifica bellezza delle sue arie per un'emissione talvolta nasale, mentre Francesco Verna appare un corretto Masetto.

Il settore femminile del cast è dominato dall'interessante primo approccio di Serena Gamberoni alla parte di Donna Anna. La voce è quella di sempre, fresca e ben impostata, ma resta un soprano lirico che dinanzi alla vocalità di un ruolo come questo finisce per mettere alla prova uno strumento che mai sembra dar segni di stanchezza vocale - e questo è un buon segno - eppure la costringe ad un canto sempre teso, che non trova la giusta nitidezza e rotondità di suono capace di rendere giustizia alle esigenze belcantistiche della seconda aria, “Non mi dir, bell'idol mio”. Maija Kovalevska, Donna Elvira, e Sophie Gordeladze, Zerlina, si disimpegnano con onore e nulla più.

A fine spettacolo applausi convinti per l'esecuzione musicale e sonore contestazioni per lo spettacolo.

Alessandro Mormile

3/2/2016

Le foto del servizio sono di Marcello Orselli.