Puccini, Dallapiccola e l'Eden perduto 
Il regista spagnolo Calixto Bieito, al suo debutto all'Opera di Roma, sceglie l'immagine del giardino perduto per legare insieme due atti unici come Suor Angelica di Puccini e Il prigioniero di Dallapiccola, apparentemente eterogenei, in realtà accomunati da una riflessione sulla perdita della libertà e sulle costrizioni imposte dall'ambiente esterno. Il convento nel quale Angelica viene suo malgrado rinchiusa per un peccato carnale commesso in gioventù, imperdonabile macchia sul buon nome della famiglia, è un carcere che inibisce qualsiasi desiderio. Nella medesima maniera il prigioniero, per una colpa oscura, si trova rinchiuso in una cella dall'Inquisizione. La speranza di libertà, riaccesa dall'apparente umanità del carceriere, non è altro che un'illusione, l'ennesimo volto dell'interminabile tortura alla quale viene crudelmente sottoposto. Nelle mani di Bieito il convento diviene una sorta di manicomio, all'interno del quale le suore maturano le proprie ossessioni al limitare della pazzia. La loro gestualità eccessiva e robotica evidenzia come la fede, spinta all'estremo, sfoci nella paura e nel delirio. La clausura, illusorio riparo dalle storture del mondo, diviene una costrizione innaturale e intollerabile. Le suore, escluse dalla vita, soffrono per il loro frustrato desiderio di maternità. Anche il prigioniero si dibatte come un ossesso fra le quattro mura che lo rinchiudono. Il giardino del convento, le scene sono di Anna Kirsch, appare così come la materializzazione di un'esistenza perduta, eclissata a causa di un errore irrimediabile, e non è un caso che il medesimo prato fiorito trovi albergo anche nell'oscurità impenetrabile della prigione, a evidenziare un sogno impossibile di libertà. Due atti unici confezionati da autori diversissimi come sensibilità e linguaggio, eppure vicini se si ragiona sulle circostanze compositive. Puccini verga la sua partitura durante la Prima guerra mondiale, mentre Dallapiccola matura il suo progetto in concomitanza con il Secondo conflitto mondiale. Evidentemente la storia li porta, per vie diverse, a riflettere su tematiche affini.

Il progetto del Trittico scomposto, accomunato di volta in volta a diversi titoli coevi, ha dato anche in questo caso origine a feconde alchimie, inserendo l'opera del lucchese nel ventre vivo del Novecento. Lo spettacolo, nel complesso, è efficace e governato con mano sapiente, a parte alcune eccezioni come il trasporto del prigioniero su una barella durante l'opera pucciniana, a voler sottolineare una connessione che sarebbe apparsa comunque evidente, senza tale esplicitazione piuttosto inutile. In Suor Angelica l'atmosfera claustrofobica e opprimente viene delineata sin dall'inizio, con le suore che esprimono il proprio disagio additando brame irrealizzabili. Fulcro dell'opera il duetto con la zia Principessa, tratteggiata con un'umanità solitamente estranea al personaggio. Marie-Nicole Lemieux le fornisce compostezza interpretativa, sostenuta da una solida vocalità. Brava Corinne Winters nel ruolo di Angelica, toccante senza scadere nel languido sentimentalismo. Mariotti dirige con partecipazione emotiva e con la sensibilità coloristica che contraddistingue la sua maniera, costantemente volta a evidenziare preziosismi e trasparenze strumentali. Nel Prigioniero l'assoluta coerenza e gli equilibri della forma appaiono perfettamente funzionali alla drammaturgia. Dal punto di vista visivo evidenziamo il lavoro sulle luci svolto da Michael Bauer, perfetto nella sua alternanza di oscurità e accensioni improvvise, a simboleggiare le oscillazioni fra disperazione e speranza. Dal canto suo, Mariotti mostra notevole flessibilità calandosi in un mondo totalmente diverso dal precedente con aderenza stilistica e drammatica lucidità. Ángeles Blancas (la Madre) supera in maniera egregia l'ardua tessitura del prologo. Mattia Olivieri incarna con efficacia la prostrazione del prigioniero, così come altrettanto convincente appare John Daszak nei panni del carceriere e del grande Inquisitore. Applausi in una sala purtroppo in gran parte vuota, almeno in occasione della recita del 30 aprile scorso. Peccato, perché la riflessione riguardo la tirannia è quanto mai attuale e ci tocca nel profondo. Riccardo Cenci
3/5/2025
Le foto del servizio sono di Fabrizio Sansoni.
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