RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Die Antilope di Johannes Maria Staud

inaugura la stagione lirica della Fondazione Haydn

Inaugurata al Teatro Comunale di Bolzano la Stagione lirica Opera 20.21 della Fondazione Haydn con Die Antilope del compositore austriaco Johannes Maria Staud, la cui prima esecuzione fu al Teatro di Lucerna nel 2014. Il direttore artistico Matthias Losek, nelle note scritte per il programma, precisa che l'odierna stagione, denominata “Escape from reality”, chiude il ciclo sulla trilogia della vita, giunta alla terza parte. Lo stesso aggiunge che la questione centrale è: Che cosa ci fa battere il cuore? Il fenomeno dell'uomo, le ragioni per cui fa ciò che fa, se sia consapevole di ciò che sta facendo e come faccia ciò che fa. Questi sono i quesiti intrinsechi sollevati dall'arte che volutamente il direttore vuole porre al pubblico nella rassegna 2017/2018. Aspetti che illustrano perfettamente Die Antilope, in prima italiana, del compositore Staud, primo artista residente alla Fondazione Haydn, e su libretto di Durs Grunbein. Il tema centrale è lo sfasamento dei mondi, la linea sottile tra ragione e follia, tra la ricerca della felicità e lo scontro con la realtà. La vicenda è sviluppata sul personaggio di Victor, un giovane impiegato, che alla festa aziendale denota il suo disagio per l'ambiente claustrofobico e assordante, caratterizzato da futili chiacchere e pettegolezzi. Decide di buttarsi dalla finestra del tredicesimo piano, iniziando così un viaggio surreale attraverso le vie della città come se il protagonista si fosse catapultato in un universo parallelo, trovandosi di fronte a situazioni buffe, minacciose, a strani personaggi. È il caso della signora seduta ai tavolini di un caffè che commenta la notizia di un uomo gettatosi dalla finestra, il severo guardiano dello zoo, i dottori che diagnosticano tremende malattie ai passanti e che colpiti dalla lingua indecifrabile di Victor gli diagnosticano una “depressione africana”. Al termine del viaggio il protagonista si ritrova nuovamente al party aziendale, la festa sembra essere rimasta congelata durante la sua assenza, e tutto riprende come nulla fosse accaduto.

Il libretto non si basa su un testo letterario preesistente ma sulla stretta collaborazione tra compositore e il poeta. Essi hanno voluto raccontare un‘atmosfera vaga, la quale prende una definizione più precisa nel corso dello sviluppo. Neppure era loro intenzione creare un testo cui accomunare una musica, bensì un netto parallelo di lingua (anche incomprensibile come quella di Victor) e musica, elaborando, come loro stessi affermano, “un qualcosa a metà, sospeso tra narrazione ed esagerazione, tra realismo e assurdità”.

Il compositore rielabora un numero molto limitato di materiali, ma questi sono variati in ogni scena. Il risultato è un delicato gioco di contrasti, nei quali è sfruttato con ingegnosità l'intervento corale. L'alternanza di squarci sinfonici, con sezioni percussive, intensi momenti armonici e timbri peculiari, sono un'altra caratteristica dello spartito. Staud si avvale anche di un “live electronics” al campionamento di un clavicembalo e un pianoforte dall'intonazione microtonale, all'inserimento di frammenti di conversazione (registrati e manipolati). Non mancano frammenti di musica pop, appositamente composte e molto efficaci. Il musicista afferma che non è un approccio post moderno, ma delle finestre che apre e chiude su un mondo musicale “come nei film di Fellini”. La struttura vocale dei personaggi è connotata su ogni singolo interprete, evitando ogni forma di recitativo o parlato, si denota invece una linea vocale sagomata secondo i principi opposti dell'enfasi tardoromantica. Le emissioni baritonali anticonvenzionali di Victor assumono efficace estraneità sia nel contesto drammaturgico sia musicale. Potremmo affermare che la musica di Staud, che per molti versi è inesplicabile, si sviluppa in temi improvvisi e sorprendenti, che possono forse sedurre, forse ammaliare, forse stupire.

Perché il titolo Die Antilope (l'antilope)? La domanda è forse scontata, meglio chiarire con le idee del compositore. Poiché l'opera nasce dalla necessità di contrapporsi al nonsense delle chiacchiere, da un desiderio di espressione pura, si è voluto contrapporre l'antilope, un animale che vive in grandi gruppi, ma è anche molto individualista e può scappare velocemente. Il protagonista s'identifica in questo animale e parla un linguaggio di un'umanità dimenticata, spezza i legami con un grande atto di liberazione dadaista che deve rimanere ed è incomprensibile a quelli intorno a lui. Victor è come l'animale, tenace, eccentrico, che spesso corre temendo per la sua vita. Gli altri personaggi sono semplici, esagerati, caricaturali, ma restano figure accessorie ed emblematiche.

Convincente proposta, che imprime nei settanta minuti di durata un'esagerata trasformazione musicale e molti riferimenti odierni, ma forse è il finale, non indicato, che porta il pubblico alla riflessione. Il regista Dominique Mentha realizza uno spettacolo che di primo impatto appare onirico, stilizzato, e lieve, anche con l'ausilio delle scene essenziali e ben realizzate da Ingrid Erb e Werner Hutterli. Ma durante la corta esecuzione ci si accorge della sottile e cruda chiave di lettura, che volutamente va in crescendo, e fa notare la violenza della società sul singolo, il distaccato. La collettività ha sempre la meglio, e soprattutto più potere. Ingrid Erb è anche autrice di bellissimi costumi moderni, e in particolare non si possono non menzionare le maschere a forma di animale, dal titolo dell'opera. Efficaci e variegate le luci di Norbert Chmel.

Splendida la prova dell'orchestra Haydn, ormai specializzata in musica contemporanea, e non meno efficace, anzi punto di riferimento, la direzione di Walter Kobéra, un concertatore che con sapiente professionalità scava in ogni singola peculiarità tematica della partitura, producendo una valida coesione sonora, ritmo e acceso stile sinfonico, non tralasciando un'efficace drammaturgia musicale di grande effetto narrativo. Di grande pregio e di perfetta uniformità la prova del Wiener Kammerchor, istruito da Michael Grohotolsky.

Il protagonista assoluto, Victor, era il bravissimo baritono Wolfgang Resch, il quale riesce a essere interprete strabiliante e rifinito cantante nella difficile parte che impone stili diversi e tecnica rifinita. Non meno validi gli altri interpreti, ai quali è richiesta una professionalità e una rilevante preparazione vocale: Elisabeth Breuer (Collega/donna/scultura), Maida Karisik (Collega/donna/donna anziana), Bibiana Nwobilio (Segretaria/giovane donna/passante) Gernot Heinrich (Collega/giovane uomo/dottore), Christian Kotsis (Capo/capocameriere/collega/passante/dottore), Ardalan Jabbari (Dottore/vigile), Catrina Poor (Madre), Leonhard Felix Mahlknecht (Giovane Victor).

Al termine il pubblico che gremiva nella quasi totalità il teatro ha tributato a tutta la compagnia un successo molto caloroso, con particolare entusiastica accoglienza per il compositore.

Lukas Franceschini

20/12/2017