RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La convenienza delle inconvenienze

Da spettatore, aggiungo alle mie quattro in catalogo (Dordrecht, Taranto, Lucca e Treviso) queste quinte Convenienze ed inconvenienze teatrali del Teatro Municipale di Piacenza. Come già a Lucca, ho preferito concedermene il bis. L'esuberante ed estroversa partitura donizettiana è il regalo che Donizetti si offre per il 30° compleanno il 21 novembre 1827 al Teatro Nuovo di Napoli (al compleanno, per la precisione, mancano otto giorni, e nel suo già imponente canone è al titolo 21).

Al battesimo molto favorevole della nuova opera, in un atto, seguirono numerose repliche e tutta una serie di riprese con quasi altrettante varianti, a cui si presta la drammaturgia aperta di quest'opera particolare, della quale infatti si può dire che esistono quasi altrettante versioni quanti sono i manoscritti che la tramandano. Si aggiungano le varie edizioni allestite ovunque in epoca moderna. Nel 1831 Donizetti o chi per lui la trasformò in due atti per il teatro milanese della Canobbiana (dépendance della Scala) Ne seguì una versione napoletana.

Tuttavia le quasi certezze sulla genesi della prima e seconda versione si accompagnano col tempo a punti interrogativi. La paternità del libretto, attribuito perentoriamente al Bergamasco (da Zavadini e altri), spetterebbe invece, in base a documenti attendibili, al librettista Domenico Gilardoni, collaboratore abituale di Donizetti. Ma Donizetti interveniva solitamente nella stesura dei libretti, come deve essere avvenuto anche in questo caso.

La scena lirica attuale non è ormai teatro di capricci e prepotenze di cantanti, che subiscono invece, rassegnati o meno, quelli dei registi coadiuvati dagli scenografi. Bisogna dare atto al regista Renato Bonajuto e al drammaturgo Alberto Mattioli di avere realizzato con una certa discrezione uno spettacolo fantasioso ed effervescente, prendendosi talune libertà difendibili, per esempio l'inserimento nel secondo atto del sontuoso balletto della Favorite (Parigi 1840), affidato alla leggerezza e all'eleganza dell'Ensemble Capital Ballet: affiatato sestetto giovanissimo – tre ragazzi e tre ragazze – a cui nel resto dell'opera sono toccati inoltre compiti di figuranti.

L'azione è ambientata, alla nostra epoca, non più a Lodi bensì a Castellarquato (PC), con agganci a Milano ed alla stessa Piacenza. Il sovrintendente oltre a sembrare il perfetto sosia del boss artistico della Scala, lo ricordava ai più distratti con l'inconfondibile accento francese.

Le prove del peregrino e old fashioned melodramma Romolo ed Ersilia procedono tra alti e bassi, più questi che quelli, e tra esilaranti intoppi, equivoci ed imprevisti che i variopinti e scalcinati personaggi vivacizzano. Il nutrito cast ha in larga misura corrisposto con versatile prontezza alle esigenze e “inconvenienze” dello spettacolo. La combinazione delle due peripezie principali - l'invasione della mamma furibonda della seconda donna, Mamma Agata (basso buffo che ha cambiato sesso) e la simultanea defezione del musico e del tenore tedesco - fa da perno alla vicenda, con Mamma Agata, che dopo scambi da lavandaia con il soprano Corilla, si candida a rimpiazzare il musico, mentre Procolo, “principe” consorte di Corilla di cui è esagitato fan, si offre di cantare al posto del tedesco. Alla fine la notizia del taglio della sovvenzione locale con conseguente cancellazione dello spettacolo induce la troupe in bella solidarietà a scapparsene nottetempo insalutati ospiti, tanto più che hanno ricevuto una parte del compenso. Il sovrintendente, rovinato e abbandonato, tenta il suicidio ma la pistola fa ripetutamente cilecca.

Chi ha giustamente la parte del leone è l'effervescente (anche troppo) Mamma Agata del basso-baritono Marco Filippo Romano, che ne sfaccetta agilmente la presenza in scena, fino alla goffa Afrodite nascente nella gigantesca conchiglia, modulandone con maestria l'espressività e la lingua. Il suo contraltare è Corilla, l'esuberante primadonna incarnata dal soprano Giuliana Gianfaldoni, che, tra vanagloriosi acuti e svarioni vocali, è una convincente cantatrice dozzinale quanto piena di sé. Il musico si giova della pastosa morbidezza del mezzo soprano Silvia Beltrami e il tenore tedesco, Guglielmo, si avvantaggia della limpida agilità del tenore Matteo Desole. Ci sono ancora quattro baritoni: adeguato Dario Giorgelè quale sovrintendente e passabile il Maestro di Cappella Biscroma Strappaviscere di Andrea Vincenzo Bonsignore, poco incisivi nonostante la gestualità sopra le righe, Procolo, marito di Corilla, dell'invadente Nicolò Donini e il regista Prospero Salsapariglia, droghiere, di Stefano Marchisio, quest'ultimo quale regista gay (non ce n'è penuria a dire il vero, ma si sbracciano tutti così?). Il soprano Paola Leoci era una graziosa non intrusiva Luigia, la seconda donna figlia di Mamma Agata, mentre all'elegante e misurato basso Juliusz Loranzi è toccato lo striminzito ruolo dell'ispettore del teatro (ha almeno preso la rivincita cantando Timur tra le due recite in una non disdicevole Turandot pucciniana al Teatro Sociale di Castiglione dello Stiviere (MN)).

L'allestimento, che andrà poi al Teatro Coccia di Novara ed al Chiabrera di Savona, era nelle competenti mani di Giovanni Di Stefano, che ha diretto l'Orchestra Filarmonixa Italiana, mentre il Coro era quella della Casa affidato all'impeccabile Corrado Casati.

È più che doveroso menzionare infine le scene di Danilo Coppola, i costumi di Artemio Cabassi, le coreografie di Riccardo Buscarini e le luci di Michele Cremona.

Alla seconda rappresentazione - una domenicale pomeridiana - è apparsa in scena all'improvviso Iva Zanicchi, veterana della musica leggera, in un aside gustoso quasi in punta di piedi, calorosamente salutato dal pubblico e che a Donizetti non sarebbe dispiaciuto. La cantante reggiana aveva però lasciato nel guardaroba del teatro con la pelliccia i suoi formidabili ottant'anni.

Teatro abbastanza affollato di giovani e meno giovani complessivamente divertiti e appagati, che non si precipitavano all'uscita.

A Piacenza c'è chi ricorda ancora un soprano piemontese di non oscura fama ma ormai al tramonto, che alle prove dei Puritani venne protestata dal direttore, al quale, con pretese e capricci non dissimili da quelli della prima donna delle Convenienze, si oppose battagliando inutilmente, mentre all'esterno del teatro la di lei anziana genitrice faceva uno strepito altrettanto infruttuoso. Il teatro è da sempre specchio della vita reale.

Fulvio Stefano Lo Presti

4/12/2021

Le foto del servizio sono di Cravedi-Verile.