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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Donnacce

al Brancati di Catania

Gianni Clementi, autore di commedie brillanti dall'umorismo sottilmente amaro, è spesso presente nella programmazione del Teatro Brancati di Catania; anche quest'anno il cartellone prevedeva un lavoro di questo prolifico autore, Donnacce, che è andato in scena giovedì 7 aprile, con repliche fino al 24, per la regia di Ennio Coltorti e la scene di Jacopo Manni.

Un lavoro godibilissimo, basato su una storia tanto semplice quanto emblematica: due mature signore, che per circa trent'anni hanno praticato a Roma il mestiere più antico del mondo, ormai ritiratesi dalla professione, sono in procinto di partire per l'Egitto e godersi una meritata vacanza, quando all'improvviso sul balcone di casa precipita un tizio, cliente del trans del piano superiore. Costui, abbigliato alla sadomaso, con tanto di maschera, chiede aiuto a Tullia, detta Sofia Loren, e a Tindara, detta Occhibeddi, al fine di uscire indenne dallo scandalo in cui sarà inevitabilmente coinvolto: il trans col quale s'intratteneva si è sentito male, forse è morto, e nell'appartamento sono rimasti i documenti e il cellulare del misterioso cliente, oltre a un po' di neve. A chi abbia un po' di memoria, tutto ciò ricorderà uno scandalo che anni fa ebbe per protagonista appunto un personaggio molto in vista di Roma, e che ne fu travolto in maniera irreparabile.

Nella commedia le cose vanno invece molto meglio: le due donne accettano di aiutare il personaggio misterioso, naturalmente dietro un congruo compenso: chiamano un vecchio cliente, scassinatore di professione, che in un battibaleno apre la porta del trans e permette di recuperare documenti, cellulare e cocaina. Il finale, a sorpresa, sarà un'ulteriore conferma del moralismo da quattro soldi ostentato dal politico per tutta la commedia, e soprattutto della sua abilità nello sbarazzarsi di testimoni scomodi…

Quel che soprattutto colpisce delle commedie di Clementi è, come in questo caso, la sua capacità demistificatoria, la sua bravura nel tratteggiare personaggi comici, leggeri, ma che riescono senza parere a stigmatizzare i vizi e i cattivi costumi della società contemporanea, con un umorismo ironico, scevro di qualsiasi intento moralisticheggiante. Anche in questo caso, Donnacce ha confermato la vena di Clementi, il suo teatro basato su pochi elementi e su una scarna vicenda che viene per così dire illuminata dall'interno dall'efficacia dei dialoghi, dal suo scorrere veloce e, soprattutto, dalla bravura degli attori, che qui, come in altre commedie, hanno sempre la possibilità di spaziare a tutto tondo.

Alessandra Costanzo, nei panni di Tindara, una prostituta di origini siciliane, ha tracciato con estrema maestria il suo personaggio, prestandole una carica umoristica pressoché irresistibile: la perfetta ed incisiva mimica della Costanzo, unita ad un notevole professionalità e padronanza scenica, ha strappato più e più volte applausi a scena aperta, scatenando spesso nel pubblico ondate di ilarità. In particolare va notato che, a differenza di altre sue colleghe, la Costanzo non ha caricato sulla sicilianità di Tindara, limitandosi a pochi termini in dialetto, e svolgendo il resto della recitazione con una pronuncia volutamente sporca, ma priva delle fastidiose e caricate inflessioni a cui tanti sceneggiati televisivi hanno abituato il pubblico.

Paola Tiziana Cruciani, nel ruolo di Tullia, ha offerto un personaggio un po' più compassato e freddo, almeno all'inizio, per farlo poi crescere nel corso della commedia, in un climax di comicità ironica che contrastava gradevolmente con l'estroversa e rutilante Tindara. Attrice dotata di ottima dizione e capace di tratteggiare con pochi elementi un carattere, ha duettato in maniera irresistibile sia con la Costanzo che con Pietro Bontempo, l'uomo misterioso, che ha saputo infondere al suo ruolo tutta l'ambiguità del potere, l'untuosità del moralismo e l'arroganza del politico, mantenendo sempre però una superiore misura che gli ha permesso di rendere francamente comico, e mai grottesco, il suo personaggio.

La regia di Ennio Coltorti, veloce ed essenziale, ha infuso ulteriore scorrevolezza allo spettacolo, con un'oculata scelta delle musiche, ben atte a ricostruire il clima sociale del lavoro, e aggirando la monotonia della scena fissa grazie ad una grande libertà di movimenti lasciata agli attori.

Giuliana Cutore

10/4/2015