RECENSIONI
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Milano

Arriva un raro Straus

Non c'è da stupirsi se Die äegyptische Helena (Elena Egizia) non sia arrivata finora alla sala del Piermarini, quando titoli più anziani e di compositori italiani prestigiosi attendono ancora senza disperare il loro turno.

Poi si tratta di un'opera particolarmente difficile che non è che si proponga molto dovunque, viste anche le enormi richieste musicali e perfino sceniche. In effetti il sottoscritto l'aveva ascoltata solo una volta dal vivo in forma di concerto al Festival di Salisburgo con un'ottima concertazione di Fabio Luisi. Come si sa Franz Welser-Möst ha una predisposizione a far annoiare il pubblico malgrado le autentiche cataratte sonore che gli spara, ma in quest'occasione le cose sono andate decisamente meglio e/o con più senso. Anche la messinscena di Sven-Eric Bechtolf (un altro favorito della direzione uscente del Teatro) risultava più azzeccata di altre sue e l'idea che tutto si svolgesse nella cornice di un'immensa radio molto chic (sicuramente tenendo conto della difesa dell'allora novità da parte di Hofmannstahl – scritto male sul manifesto) può sembrare arbitraria ma dava una possibilità di azione ad un'opera che non ne ha, in particolare nel secondo atto – e sorvoliamo la polemica sull'azione interiore. I costumi, come il resto, dell'epoca della composizione, e cioè i fatidici anni trenta del passato secolo, bellissimi, non servivano purtroppo a caratterizzare bene Helena, che pareva più una rigogliosa Baby Jane che non la donna più bella del mondo, e questo non implica un giudizio sulla protagonista di Ricarda Merbeth, che non ha sicuramente una voce bella, ma sí sicura e potente anche se un po' incontrollata nell'estremo acuto.

Questo non capitava mai al portentoso Andreas Schager, che si presentava alla Scala nell'estenuante parte di Menelao. Questo vero Heldentenor non sarà forse un grande attore o almeno uno che riesca sul versante scenico a destare la meraviglia che desta lo splendore del suo órgano vocale privilegiato, ma il personaggio in questo caso non ne ha bisogno e comunque faceva bene – vorrei vedere chi stava a trovare le pecche davanti a una tale sicurezza, volume e squillo... L'ovazione che lo accoglieva alla fine da parte di un pubblico non troppo numeroso nè motivato parlava ben chiaro di questo prodigio vocale. Eva Mei era la maga Aithra e sebbene all'inizio non la si sentisse molto, e i gravi non è che siano interessanti, ha ancora una bella padronanza del registro acuto (sovracuti particolarmente sicuri). Elegante interprete, come anche era il caso di Thomas Hampson, che nonostante l'evidente usura del tempo se la cava con onore ma ci lascia con la perplessità di cosa possa aggiungere alla sua notevole e lunga carriera un ruolo come quello di Altair. Attilio Glaser cantava bene con una voce non particolarmente bella la parte breve ma difficile di Da-ud – si sa che i tenori, anche se cantano poco, devono scontare la pena inflitta da Richard Strauss ai miseri mortali che cantano in quel registro. Tra i comprimari, corretti, spiccava il mezzosoprano Claudia Huckle (la Conchiglia onnisciente). Bene il coro preparato da Bruno Casoni, non molto importante qui. Eccellente l'orchestra.

Jorge Binaghi

27/11/2019

La foto del servizio è di Marco Brescia & Rudy Armisano.