RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Una virtù ancora magica…

Assente da più di un decennio dalla scena del Bellini di Catania, è tornato per far sorridere il pubblico Don Pasquale di Gaetano Donizetti, una delle opere più famose del grande bergamasco, mai uscita dal repertorio internazionale e ancor oggi molto apprezzata sia per le pagine stupende che contiene, sia per la sua ironica e lieve comicità: il debutto del 17 ottobre, con repliche sino al 25, prevedeva la riedizione dell'allestimento, datato 1988, del Teatro Regio di Torino, con la regia del compianto Ugo Gregoretti, ripresa per l'occasione da Giandomenico Vaccari, con le scene e i costumi originali di Eugenio Guglielminetti (anch'egli scomparso nel 2006) e le luci di Gaetano La Mela. Si tratta di una messa in scena ironica e scanzonata, naturalmente ambientata in una Roma ottocentesca ancora provinciale, con improbabili canali sui quali navigano barchette e dai quali Don Pasquale tira su, nel tentativo di pescare, una vecchia scarpa, quasi monito della delusione che lo attende, e gremita di popolani che affollano il palcoscenico spiando e occhieggiando l'azione, con trovate talvolta davvero sarcastiche, come la piccola mongolfiera che vola via come i sogni d'amore di Don Pasquale, o la processione da Venerdì Santo che osserva compunta le conseguenze dello schiaffo appioppato da Norina all'anziano consorte, il quale mormora sconsolato “È finita, Don Pasquale…” accasciandosi affranto su una panca. Davvero sontuoso il controsipario raffigurante una veduta romana con fuochi d'artificio in primo piano, davanti al quale sin dalla Sinfonia si muovevano popolani, suore, sbirri, borghesi, sotto gli occhi attenti di uno di quei tanti pittori da strada così frequenti nell'Ottocento, i più fortunati dei quali accompagnavano talvolta letterati e poeti nei loro viaggi iniziatici di formazione in Italia. Anche i costumi, perfettamente in tema, colorati e ben curati, contribuivano a ricreare quell'atmosfera spensierata e ilare ben presente in certe ingenue stampe otto-novecentesche riproducenti i sobborghi della Capitale.

Sul fronte musicale, l'attenta direzione del giovanissimo Riccardo Bisatti ha impresso ritmi scintillanti all'Orchestra del Bellini, con tempi serrati ma non troppo, che accompagnavano puntualmente l'azione, senza inopinati compiacimenti che avrebbero potuto inficiare, come talvolta accade, la tenuta globale dell'opera, contribuendo anzi alla vivacità dei dialoghi e dei duetti, uno dei quali, quello tra Don Pasquale e Malatesta dell'atto terzo, è stato addirittura bissato in parte, a gran richiesta del pubblico entusiasta, dai cantanti scesi in platea, che hanno concluso gigioneggiando con effetti davvero comici. Bisatti è riuscito a trarre il meglio da un'orchestra in ottima forma, che si è distinta per nitidezza di suono, per precisione negli attacchi e nei rilasci del suono, per una grande coesione tra le varie sezioni, dimostrando come un'attenta concertazione riesca a fare la differenza e a contribuire a far crescere sia l'affiatamento generale, sia il nitore e la pregnanza degli interventi solistici, fra i quali merita sicuramente una menzione quello della prima tromba. Ottima anche la prova del coro, diretto come sempre con estrema misura e attenzione alla morbidezza del suono da Luigi Petrozziello.

Il personaggio eponimo è stato affidato al basso Dario Russo, già più volte apprezzato ospite del palcoscenico del Bellini, del quale chi scrive ricorda ancora con estremo piacere la sua interpretazione di Sir Giorgio ne I Puritani del settembre 2023 per il Bellini International Context: autentico basso nobile, dotato di un'estrema musicalità, di dizione egregia e di un'ottima tecnica, è riuscito a rendere la figura del vecchio signore infatuato di una ragazzina, un po' stolto ma in fondo bonario, puntando più sugli accenti autoironici del personaggio che su quelli squisitamente buffi (che avrebbero rischiato di assimilarlo troppo a Don Bartolo del Barbiere), costruendo una figura umanissima e a tratti commovente, sorretto da una vigorosa arte scenica ma soprattutto da una professionalità che gli ha permesso di dominare vocalmente una parte forse meno adatta a lui dei grandi personaggi belliniani e verdiani che interpreta abitualmente.

Ottima anche la prova del baritono russo Nikolai Zemlianskikh, il Dottor Malatesta, deus ex machina di tutta la vicenda, impegnato in un costante andirivieni che trova il suo riscontro vocale in parecchi impegnativi duetti e in costanti e frizzanti recitativi: dotato di una voce morbida ed elastica, ha affrontato con disinvoltura un ruolo brillante da baritono leggero, colmo di reminiscenze rossiniane, dando prova di una dizione davvero chiara, di morbidezza negli acuti e di un'interessante zona media, tutte qualità che il pubblico ha mostrato di apprezzare parecchio, convincendolo al bis di cui parlavamo prima, in coppia con Dario Russo, bis che ha segnato senza dubbio uno dei momenti più esilaranti ed entusiastici dello spettacolo.

Il giovane innamorato Ernesto, nonché nipote di Don Pasquale, è stato interpretato dal tenore Jack Swanson, già ascoltato lo scorso settembre in occasione del Galà Inaugurale del BIC 2025, che in questo ruolo ha ancora una volta evidenziato le sue doti principali, in primis un'estrema morbidezza di emissione, che si traduceva in un suono perfettamente coperto negli acuti, in mezze voci suadenti e avvolgenti, in un'attenzione sempre vigile ai piccoli particolari della partitura donizettiana, tutte qualità che gli hanno permesso di cantare (fuori scena) in maniera davvero impeccabile la celebre serenata “Com'è gentil”, e con partecipato lirismo l'altrettanto famoso “Tornami a dir che m'ami”, in coppia con Norina.

Infine, Marina Monzò ha dato vita a una Norina vivace e viperina, dotata di una verve irresistibile soprattutto nei momenti più squisitamente comici, sia nella finzione di un'estrema timidezza e sottomissione quando si trattava di abbindolare il malcapitato Don Pasquale, sia scatenando tutta la sua furia di consorte ormai tranquillamente insediatasi in casa, per rivelarsi ardente innamorata nel duetto finale con Ernesto. Sul fronte vocale, la cavatina “So anch'io la virtù magica” ha evidenziato una voce limpida e coperta anche nei sovracuti, oltre che una bellissima coloratura che, unita a una tecnica di notevole livello, le ha permesso di affrontare senza particolari difficoltà un ruolo ancora colmo di reminiscenze belcantistiche nel senso precipuamente storico del termine, dove abbellimenti, volatine e fiorettature la fanno tuttora da padroni.

Divertente anche la figura del Notaro, affidata a Dario Giorgelè.

Il pubblico entusiasta ha tributato lunghi e calorosi applausi alla fine della rappresentazione, riservando una vera e propria ovazione a Dario Russo e a Marina Monzò.

Giuliana Cutore

18/10/2025

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.