RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Vienna

Quel diavolo d'un Méphisto

Senza il balletto (quando mai ci sarà dato tornare a vederlo?), ritornava ancora una volta alla Staatsoper il popolarissimo Faust di Gounod in un allestimento scenico ispirato a uno di Nicolas Joel e Stéphane Roche con anche le scene secondo Andreas Reinhardt e Kristina Siegel. Dei costumi non se ne parla. Aggiornata l'azione all'Ottocento, tutto resta affidato ai singoli artisti e all'esperienza del bravissimo coro preparato da Thomas Lang.

Frédéric Chaslin dirigeva con tempi piuttosto vivaci ma molto drammatici e, come capita con quasi tutti i maestri qui, non sempre riusciva a controllare il volume della splendida orchestra.

Erwin Schrott era il mattatore della serata, e menomale: di una vitalità straripante, per alcuni un po' sopra le righe, cantava con una voce bellissima, uguale in tutti i registri; apparentemente si è ancora sviluppata in volume senza inficiare la qualità. Un diavolo a tutto tondo. Markus Eiche si calava bene nei panni di Valentin, magari con qualche acuto un po' stiracchiato ma la parte restava ben servita.

Jongmin Park era un Wagner di colore oscurissimo e grande volume ma ancora un po' razzo, più interessante comunque che la pallida Marthe di Bongiwe Nakani.

Mandy Fredrich sostituiva una malata Anita Hartig come Marguerite. La sua interpretazione prendeva quota nei due ultimi atti, ma nel terzo risultava piuttosto inerte anche se corretta (non più) nell'aspetto puramente vocale.

Infine il protagonista era affidato a Jean-François Borras, una voce di tenore chiara in acuto, di grave poco bello, volume piuttosto piccolo e con un'estensione adeguata ma di poco effetto; di fraseggio generico, l'artista era inesistente.

Jorge Binaghi

1/2/2018

La foto del servizio è di Michael Poehn.