RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Al Teatro della Pergola per ascoltare

le Goldberg Variationen

Il concerto di sabato 22 novembre scorso che ha visto protagonista un trio d'archi nell'interpretazione delle Goldberg Variationen BWV 988 di J. S. Bach, è stato uno tra i più interessanti appuntamenti di questa nuova stagione degli Amici della Musica di Firenze.

Il mio racconto, attingendo dalla narrazione di Johann Nikolaus Forkel, autore della prima biografia sul Kantor ed iniziatore della Bach-Renaissance, comincia da quel «Caro Goldberg, suonami un po' le mie Variazioni» che, riferendoci all'evento, poteva costituire il desiderio da parte del pubblico di ascoltare questi brani così «delicati e spiritosi». Il musicologo tedesco svela la nascita di questa pagina monumentale concepita per ‘cembalo a due manuali', commissionata a Bach dal conte Hermann Carl von Keyserlingk, affinché il virtuoso adolescente Goldberg alleviasse le sue notti insonni suonando.

Intanto corre l'obbligo sottolineare quanto, ancora una volta, l'opera del compositore tedesco - per il suo alto magistero intriso di scientia intesa come numerus (la simbologia rimanda a perfectus est ternarius tanto da risultare utile per svelare una parte significativa dell'architettura della composizione), per il senso di sacralità, per il suo ineguagliabile contrappunto che sfocia nel concetto più ampio di ‘armonia', scaturita secondo Forkel dall' «intreccio delle voci» - rimane sempre musica assoluta che porta alla legge «prestabilita» da Dio per la creazione (Leibniz).

Conoscendo le Goldberg, anche in altre versioni, devo ammettere che questa trascrizione per trio d'archi (1985) ben realizzata da Dmitry Sitkovetsky e molto apprezzata dai musicisti, non sarebbe passata inosservata all'autore stesso. In sostanza si è assistito ad una ‘trasfigurazione' dalla versione destinata ad un singolo esecutore a quella per tre musicisti in cui ogni componente aveva il compito di inserirsi in una certa tradizione retorica atta ad intensificare ed amplificarne i contenuti. Compito certamente molto arduo ma - per le caratteristiche dei tre strumentisti, per il modo significativo di relazionarsi non solo con la partitura ma anche tra loro – comunque con un risultato così fulgido da esprimere una performance cameristica ammirevole e nello stesso tempo ‘virtuosa'. La percezione è stata quella di assistere ad ogni dettaglio di un'opera che necessita in primis di un raffinato equilibrio tanto da risultare un elegante e, allo stesso tempo, concettuale intarsio. Lo potrebbero confermare le orecchie più raffinate in quanto - grazie all'arte del contrappunto, a parte l'Aria (collocata all'inizio e alla fine dopo le XXX variazioni) - nella logica della variatio e dell'alternatim, era possibile cogliere da ogni strumento affiliazioni dal cantus con una qualità di suono, da parte di ognuno, di pregio.

Sono trascorsi circa novanta minuti di musica con lo sguardo del pubblico pronto ad osservare ogni piccolo particolare espresso dagli interpreti nell'esporre le proprie parti attraverso la scelta delle arcate, gli sguardi, la ricca tavolozza dei colori, la sincronicità negli attacchi dei tempi, le articolazioni, la punteggiatura che definiva il fraseggio, ecc., convinti che in quelle azioni e nei piccoli gesti degli interpreti si poteva trovare un aiuto per entrare nel mondo di Bach.

Se il versatile violinista Julian Rachlin riusciva ad esprimere il ruolo centrale nell'ensemble unitamente ad un'espressività lirica e limpidezza del suono anche nei passaggi più complessi, la violista Sarah McElravy con la sua avvolgente espressività, soprattutto quando non era coinvolta nel gioco dello scambio delle parti (contrappunto doppio), assurgeva ad autentico mediatore tra la voce superiore e quella del basso affidato al violoncellista Boris Andrianov. Di quest'ultimo interprete si è altresì apprezzato il suo modo edificante di introdursi nel procedimento della variazione senza mai rinunciare alla nitidezza sonora.

Un'altra ‘perla' della serata è stata anche la possibilità di percepire, attraverso i musicisti, il bel ‘trittico' di liuteria cremonese grazie al suono di un violino Stradivari ex Liebig (1704), una viola di Lorenzo (Laurentius) Storioni (1785) e un violoncello Carlo Bergonzi.

Senza entrare nel merito delle singole variazioni - espressione delle diverse tipologie di canone - affinché ‘tradurre' sonoramente il ‘verbo' bachiano occorreva lasciarsi coinvolgere certamente dalla complessità dell'opera ma rimanendo sempre ancorati alla ‘bussola' che poteva rivelare molte cose. Alla tematicità dell'Aria con le francesizzanti ornamentazioni, bisognava considerare il basso dalle caratteristiche di ciaccona, la salda tonalità di sol maggiore (tranne per le variazioni 15, 21, e 25), senza dimenticare il virtuosismo della toccata, della danza, dell'Ouverture nello stile francese (perno centrale dell'opera) - per non perdersi nell'itinerarium mentis in Bach.

Grande successo per questo trio straordinario al punto che, riascoltando l'Aria con tale soavità ed emozione, da parte del pubblico, non si ravvisava il desiderio di un fuori programma.

Salvatore Dell'Atti

29/11/2025