RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Quattro donne intorno al cor...

Più amara della morte è la donna, recita l'Ecclesiaste: tale frase, nelle sue infinite varianti, partendo da Medea per finire con le femmes fatales mangiatrici di uomini, ha determinato una letteratura, un teatro, e poi un cinema, dove l'uomo, talvolta in chiave comica, talvolta in chiave tragica, appare come la vittima innocente delle oscure trame di una perfida creatura il cui fine ultimo pare sia quello di farsi sposare per poi spennarlo, prosciugargli il portafoglio e in definitiva sottometterlo in tutto e per tutto. Quando Euripide dipingeva la terribile ira di Medea, non pensava nemmeno a far vedere Giasone per l'infame che era, e allo stesso modo Emma Bovary e Anna Karenina vengono trattate come adultere fedifraghe, senza pensare che razza di mariti indecenti si dovevano sorbire da mane a sera e che imbelli amanti erano andate a procurarsi.

Insomma, nel rapporto donna-uomo, poche volte la letteratura maschile è riuscita a porsi dal punto di vista della donna e nello stesso tempo a far comprendere quanto l'uomo possa essere infantile, superficiale e delittuoso, soprattutto nella sua volontà di spiegare, tanto per sgravio di coscienza, le ragioni della fine di un rapporto, di un tradimento, di qualsiasi cosa abbia ferito la compagna del momento. Infatti, quando una donna decide di andarsene, generalmente fa le valigie e se ne va, senza tentare di giustificarsi; se tradisce, il più delle volte sta zitta e sogghigna tra sé, ma non le passa nemmeno per la mente di andarlo a raccontare in giro, cosa che invece un uomo fa disinvoltamente, tanto per fare il gallo o sbandierare la propria virilità.

E stata dunque una gradevole sorpresa Some girl(s), di Neil Labute, andato in scena al Musco di Catania il 5 marzo: una pièce scritta da un uomo, ma dove, almeno una volta, quello che fa la figura dell'imbecille è proprio l'uomo: un aspirante scrittore, Guy, alla vigilia del matrimonio, decide di rivedere alcune delle sue ex, per rimediare ai danni commessi, a parole, in realtà per farne di altri, ma soprattutto, come si svelerà nel finale, per registrare il tutto e venderlo sotto forma di racconto a Vanity Fair. Incontra così, nell'ordine, Sam, l'amore dei tempi del liceo, pulitina, malmaritata e sognatrice, Tyler, una donna dalla sensualità dirompente che senza tirarla troppo per le lunghe vorrebbe solo divertirsi ancora un po', Lindsay, intellettuale legnosetta abbandonata in malo modo, che va all'appuntamento con l'anziano marito che l'aspetta di sotto, scatenando il terrore di Guy, e infine Bobbi, una ragazza essenziale e disinibita, che rovescia i ruoli prendendo in giro Guy e che scoprirà l'inganno del registratore. Quattro donne, tutte magari con le loro contraddizioni, ma adulte, accomunate da una profonda, palpabile sincerità, al cui confronto la malafede e il pargoleggiare di Guy emergono in tutta la loro disarmante stupidità. Quello dell'uomo è un tentativo, a livello puramente maschile, di farsi quadrare i conti, ma a livello pratico di sfruttare queste vecchie storie per guadagnarci sopra: solo per un attimo un barlume di vergogna sembra affiorare in lui, quando sta per distruggere la cassetta col dialogo con Bobbi, ma è solo un istante e nulla più. La vita di Guy riprende come se nulla fosse, maestro del gratuito e dell'oculata amministrazione di se stesso.

Qualcos'altro si affaccia nella pièce, quasi a livello subliminale, esplicitato nei bravi attimi tra l'uscita di scena di una donna e l'ingresso dell'altra, nelle movenze angosciate che accompagnano il congedo: che esiste una violenza che non è fisica, ma morale, che tutto demolisce, ma che soprattutto annienta la fiducia in se stesse e negli altri…

Marcello Cotugno, che ha curato la regia, le luci e la colonna sonora, ha creato uno spettacolo minimalista, graffiante, dai colori netti, ma intenso e veloce, guidando con mano sicura gli attori lungo una recitazione scarna, naturalistica ma non troppo, dove la gestualità rendeva plasticamente, al di là delle parole, l'insipienza maschile e il graduale prendere coscienza delle donne. Di ottimo livello tutti gli attori, di fatto cinque protagonisti: Gabriele Russo, dopo qualche iniziale incertezza, ha incarnato con estrema naturalezza il ruolo di maschio opportunista, tanto affezionato alle proprie menzogne dal finire col crederci, mentre Laura Graziosi, Sam, ha delineato una figura di donna fragile e insicura, divisa tra rimpianti, nostalgia e gelosia retrospettiva, sempre in attesa di qualcosa che la salvi dal suo ruolo di madre e moglie borghesemente felice. Perfetta Bianca Nappi, una Tyler sensuale, allegra e scanzonata, mentre Roberta Spagnuolo ha ben reso il ruolo di Lindsay, professoressa universitaria danneggiata dall'adulterio più come docente che come donna. Ottima infine la Bobbi di Martina Galletta, fiera, energica, capace di dominare e guidare il gioco di Guy fino allo scioglimento finale.

Giuliana Cutore

7/3/2015