RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Guillaume Tell al Comunale di Bologna

La collaborazione tra il Rossini Opera Festival e il Teatro Comunale di Bologna è fatto assodato da decenni, una realtà musicale italiana di rilievo e uno scambio artistico tra due enti con proficue operazioni.

L'opera di Gioachino Rossini Guillaume Tell, che fu allestita lo scorso anno a Pesaro, approda ora a Bologna con un'idea registica in parte rivisitata in considerazione agli spazi più ristretti del Teatro Comunale rispetto all'Adriatic Arena. Ė superfluo dilungarsi in questa sede sull'importanza musicale dell'ultima composizione operistica di Rossini con la quale si congedò dalle scene a Parigi nel 1829. L'impianto musicale è di prim'ordine, variegato, innovativo, in orchestra il movimento fluttuante, talvolta lamentoso, s'imprime nelle linee generali del progetto melodico, uno dei più ampi, intensi e strutturati che si conosca del melodramma. Da sempre le accoglienze furono entusiastiche, ad eccezione della prima assoluta, tuttavia non fu sempre facile trovare un tenore capace di reggere il ruolo di Arnoldo, prima sullo stile di Adolphe Nourrit che usava il falsettone, poi nella trasformazione di Gilbert-Louis Duprez che trasformò i numerosi do sovracuti in note piene dette “di petto” (ma il termine nella sua grammatica è errato). Rossini non approvava tale riforma di Duprez, la quale invece era graditissima al pubblico, affermando che strideva al suo “orecchio italiano”. Ė fuori di ogni dubbio che il Tell sia l'opera del tenore, il quale surclassa per difficoltà e imposizione musicale quella del protagonista, al quale tuttavia sono riservate pagine di rilievo. Il personaggio femminile di Mathilde è infuso d'eleganza e mirabile melodia in un ritratto intimistico di gentildonna. A ciò vanno aggiunti i ruoli secondari che assumono in questo grand-opéra rilievo musicale e drammaturgico rispetto all'opera italiana, e il peso determinante del coro che può essere equiparato ai solisti per il senso descrittivo del dramma, cui si sommano aspetti descrittivi sinfonici, danze di splendida bellezza e una sinfonia magistrale, di struttura autonoma, che esce addirittura dagli schemi di Rossini.

Devo ammettere che a Pesaro lo spettacolo creato da Graham Vick non mi aveva particolarmente convinto, aspetto che invece ho modificato a Bologna in occasione della ripresa. Probabilmente gli spazi del teatro erano più convincenti e favorevoli e sicuramente anche qualche limite di chi scrive. La vicenda è spostata in modo astratto intorno ai primi anni del secolo XX, del resto è storia di tutti i tempi che un tiranno o una classe politica sia usurpatore su un popolo. La terra è elemento primario, cui gli svizzeri sono costretti a spazzare ma fanno ritornare sul palcoscenico per dimostrare che è la loro vita, il loro destino. Un pugno chiuso campeggia sullo scenario iniziale e bandiere, entrambi rossi, campeggiano nel finale, non si tratta d'ideologia del comunismo ma di simboli della lotta contadina, del riscatto dell'indipendenza e della dignità di un popolo che scaccia l'usurpatore. Ci sono tutti i simboli e le gesta dell'insurrezione e della dignità di un'etnia che lotta per la propria indipendenza, la storia di ogni epoca. Spettacolare la scena finale nella quale scende una scala dal soffitto, sempre rossa, sulla quale sale solo il piccolo Jemmy, tutto questo è stato fatto soprattutto per le nuove generazioni per un mondo migliore! Ma quanto migliore? Analizzando la storia si evince che spesso si ripete, ma se non si cerca di renderlo migliore, si sprofonderebbe. Il messaggio di Vick è chiarissimo, intelligente e penetrante. A lui si aggiunge Paul Brown che disegna una scena spoglia bianca ma efficacissima e costumi di rara bellezza e raffinatezza. Discorso a parte meritano le coreografie Ron Howell, che magistralmente crea una pantomima nel grande balletto del terzo atto, una scena di forte emotività teatrale, spettacolare, e di violenza visiva impressionante. Gli usurpatori sottopongono gli svizzeri ad ogni genere di sottomissione, talvolta orgiastica, di sprezzante umiliazione. Un momento di grande teatro danzato che trafigge.

Michele Mariotti, dopo le recite pesaresi, dirige anche qui a Bologna, dove è direttore stabile, e la sua concertazione è migliorata notevolmente, ad eccezione di una sinfonia pasticciata e troppo personale cui hanno contribuito parecchie falle del violoncello. Ho riscontrato in Mariotti maggiore dimestichezza nella partitura, che ha acquistato significativo spessore drammatico, ardore e sentimento. Il direttore esercitava un carisma personale di grande impatto teatrale, forgiando colori, sfumature e poetica lucentezza in una partitura nient'affatto banale ma complessa e variegata. Una prova meritevole di plauso senza indugio, anche se dovrebbe calibrare meglio i concertati non sempre precisi. Buona la prova dell'Orchestra del Teatro Comunale che ha seguito il direttore con precisione, ma necessita ancora di raffinatezza, è stata invece stupefacente la prova del coro, diretto da Andrea Faidutti, che ha dimostrato grande professionalità e precisione nell'arco della lunga performance.

Anello debole della produzione è stato il tenore Michael Spyres, Arnold, il quale affrontava un ruolo oltre i suoi limiti. Sgombriamo subito il fatto che in giro non ci sono Arnoldi di riferimento, pertanto quella di Bologna è stata una delle scelte migliori, ma le caratteristiche vocali del cantante non sono conformi alla scrittura del personaggio, manca lo squillo, l'incisività e l'ardore richiesti. Spyres tenta, giocando tutte le sue carte e la sua musicalità, di reggere la partitura ma pur ammirando l'impegno, è sempre un gradino sotto, è arrivato “sfinito” alla grande aria del IV atto, si capisce che il ruolo è troppo oneroso. All'opposto sorprende Yolanda Auyanet, Matilde, che dimostra una personalità ammirevole accomunata da uno smalto vocale idoneo, intensa e penetrante sia nell'aria di sortita sia nella più difficile del III atto, risolta con bravura e buona tecnica. Esemplare Carlos Alvarez, che interpreta un Tell con voce rotonda e pastosa e morbida, centrando il personaggio con indicativa nobiltà d'accenti e fraseggio, culminando nell'aria “Sois immobile” cantata con particolare trasporto ed impeccabile precisione.

Tra gli altri interpreti, che nel Tell sono coprotagonisti per importanza drammaturgica, spiccava l'Hedwige di Enkeleida Shkosa, voce di autentico mezzosoprano che dava un rilievo particolare al ruolo anche teatrale: Luca Tittoto era perfetto nel ruolo del tiranno sia come attore sia come cantante, notevolmente migliore che nelle recite pesaresi. Aggiungiamo che Mariangela Sicilia era un buon Jemmy, talvolta tesa nel settore acuto, Simon Orfila un corretto Walter, Simone Alberghini un grossolano Melcthal. Bravo Giorgio Misseri nella difficile aria del pescatore, che supera con onore, professionali Alessandro Luciano, Rodolphe, e Marco Filippo Romano, nel doppio ruolo di Leuthold e cacciatore. Al termine delle cinque ore di spettacolo a tutta la compagnia è stato tributato un autentico trionfo da un teatro gremitissimo.

Lukas Franceschini

23/10/2014

Le foto del servizio sono di Rocco Casaluci.