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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il Trovatore

al Verdi Festival di Parma

Deludente nuova produzione de Il Trovatore al Verdi Festival di Parma, del quale non ci sono elementi da salvare o ricordare e speriamo che questa sia stata una parentesi accidentale. Il Trovatore è stata una delle opere più rappresentate al Festival sin dalla sua prima edizione nel 1990, gli esiti sono sempre stati positivi con picchi particolari in alcune edizioni, ma una discesa così indicativa come nell'attuale manifestazione non si ricordava.

Il terribile spettacolo ideato da Elisabetta Courir, assieme allo scenografo Marco Rossi e alla costumista Marta Del Fabbro, ci ha lasciati così spiazzati che è difficile anche farne una cronaca. Non è possibile parlare di allestimento poiché le sole scure e spoglie tribune girevoli non possono essere considerate scenografia, anche se firmata, senza avere una benché minima logica o affinità con la vicenda; potevamo assistere a un titolo operistico qualunque. La regia della Courir era del tutto assente non trovando una drammaturgia non solo efficace ma almeno accettabile. Lei trova soluzioni che lasciano perplessi, per non dire infastiditi, utilizzando una serie di mimi, peraltro bravi, ma che nulla hanno a che fare con l'opera. Verrebbe da pensare per mancanza d'idee. Leonora all'entrata del I atto era accompagnata da alcune ancelle, coperte da un velo nero, la cui visione portava subito a pensare a un burka. Nell'accampamento degli zingari quando Azucena canta “Stride la vampa” assistiamo a una coreografia statica con passaggio di pugnali, nel finale atto II i soldati del conte ipotizzano una violenza sessuale sulle suore del convento, a una sono strappati gli occhiali rendendola così “cieca” alla berlina dei sadici militari. All'inizio del terzo atto gli stessi soldati cantano “Squilli echeggi” andando a ritrovare i loro anfibi posti in fila sul proscenio. Mancava completamente un'idea plausibile in questo Trovatore, che è passato in una lunga e fastidiosa visione. I costumi erano tutti scuri, i soldati e il conte in grigio, anonimi e senza traccia, con alcune bizzarrie come la sciarpa rossa di Manrico annodata come si usa oggi. Luci tetre e non sempre azzeccate di Giuseppe Ruggiero, movimenti statici e per nulla accattivanti di Michele Merola. Da dimenticare.

Massimo Zanetti, a capo della Filarmonica “A. Toscanini” non si stacca da una lettura tradizionale ma in molti punti sovente scivolata in sonorità troppo accese e tempi dilatati, questi ultimi forse necessari per soccorrere taluni cantanti. È doveroso rilevare che non avendo a disposizione un cast preciso e sicuro egli ha dovuto anche barattare compromessi, portando a termine una recita difficile ma onesta.

Molto bravo il Coro del Teatro Regio, istruito da Martino Faggiani, che ha fornito non solo prova di ottima professionalità ma efficacia d'assieme e grande musicalità.

Nel cast la sola Enkelejda Shkosa, Azucena, ha fornito una prova convincente per accento, colore e fraseggio sempre controllati e pertinenti, utilizzando un mezzo vocale di valore. Penalizzata dalla regia, come tutti gli altri, ha tuttavia abusato nei suoni di petto, pratica raramente da lei utilizzata.

Il protagonista, il tenore Murat Karahan, ha nel suo carniere solo un facile utilizzo del registro acuto tanto da svettare nella pira, senza da capo, e prendersi un applauso scrosciante. Tutto il resto era sprecato in un canto aperto, senza sfumature e fraseggio, incapace di piegare uno strumento anche valido ma che necessita ancora di tanto studio.

La Leonora di Dinara Alieva era risolta in una piatta correttezza. Il timbro è piuttosto aspro e poco seducente, tenta qualche fraseggio riuscito, ma l'incisività è quasi assente. Inoltre, durante il canto continua a muoversi come in una sorta di ballo, questa pratica farebbe pensare a scarsa attitudine tecnica e anche insicurezza.

George Petean, Conte di Luna, avrebbe anche una bella voce, pastosa e rotonda ma piatta senza accenti e la sua prestazione passa nella classica banale routine. Senza traccia per un canto sfasato il Ferrando di Carlo Cigni, che credo non fosse stato in serata ottimale. Pertinenti gli altri artisti nelle parti minori: Carlotta Vichi (Ines), Cristiano Olivieri (Ruiz), Enrico Gaudino (vecchio zingaro) ed Enrico Paolillo (un messo).

Teatro sold-out in ogni ordine di posto, con un pubblico molto molto generoso di applausi. Sono cambiati i tempi, ricordando il temibile loggione di Parma!

Lukas Franceschini

1/11/2016

Le foto del servizio sono di Roberto Ricci - Teatro Regio di Parma.