RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Lucrum sine damno alterius fieri non potest

La profonda corruzione del regime zarista e della sua elefantiaca burocrazia, che si trovò un'adeguata ricollocazione agli albori del regime sovietico, ramificandosi sempre più e creando una casta dalla quale la nostra Italia sembra aver attinto adeguata ispirazione, ha lasciato una profonda traccia nella letteratura russa a cavallo tra Ottocento e Novecento: basti pensare a quel capolavoro che è Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, o alla dissacrante comicità di Uova Fatali o Cuore di Cane dello stesso autore, dove le stupidaggini della burocrazia, il suo potere paralizzante sulla società, assurgono a vette stratosferiche, mai raggiunte nemmeno dai nostri burocrati di Equitalia.

In effetti, il letterato che diede la stura a questo fecondo filone, denso di effetti comici e surreali, fu Nicolaj Vasilievic Gogol, autore di racconti come Il Naso, o di romanzi come Le anime morte, dove l'elemento surreale generato dalle contraddizioni del regime zarista dà vita ad opere di rara efficacia e, purtroppo per noi, attualità, svelando al tempo stesso la capillare corruzione di uno stato enorme, la cui gestione era di fatto assegnata a funzionari onnipotenti, che nessuno sorvegliava, perché non ne era in grado o perché più probabilmente non voleva, che trovavano la loro microscopica riproduzione in una miriade di sottofunzionari pubblici, consiglieri, sindaci, giudici e sovrintendenti vari.

Già queste brevi pennellate danno un'idea della vicinanza di quel mondo alla nostra Italia, e la recente inchiesta su Mafia Capitale non fa altro che rendere più somigliante il quadro generale: un abisso di corruzione, capillare dalla vetta alla base, con uomini-cerniera più simili a ladri di polli e a borsaioli da quattro soldi, che arraffano denaro sfruttando sinanco le minime leve di potere, mantenendo però una facciata di competenza e di efficienza, almeno sino a quando il sistema non implode per le sue contraddizioni interne, svelando il verminaio celato dietro grandi opere, appalti, cooperative et similia.

In tal senso, L'Ispettore generale, in scena dal 10 al 14 dicembre alla Sala Verga di Catania per la stagione 2014-2015 dello Stabile di Catania, ha puntato sulla regia di Damiano Michieletto, che amplificava l'attualità della commedia di Gogol, in un raro esempio di contemporaneizzazione immune da stravolgimenti e violenze sul testo, ma in grado anzi di far nascere spontaneo nel pubblico l'accostamento tra il passato e il nostro non meno orribile presente, dove sindaci, funzionari, responsabili di ospedali e vigili urbani fanno di fatto quel che facevano gli stralunati personaggi di Gogol, rubando a man bassa qua e là, in un delirio criminale simile ad una grottesca carnevalata con tanto di luci psichedeliche e balletti osè. Una regia graffiante, veloce e coinvolgente, con attori perfettamente guidati, dalla gestualità irruenta e dinamica ma mai caricata, in un miracolo di equilibrio che strappava frequenti risate amare, in cui ogni gesto sembrava rimandare al presente, dove oggi come ieri Cristo tutto dì si merca, con tanto di moglie di sindaco compiacente e scollacciata, pronta a tutto pur di irretire il presunto ispettore generale, di fatto un povero disgraziato che, compreso l'equivoco, approfitta a man bassa della situazione. Funzionari e burocrati macchiette da avanspettacolo, svelati nelle loro miserie, che traspaiono dai gesti, dagli abiti (ideati da Carla Teti), dallo squallore delle scene che li circondano, con vetri rotti, tappezzerie scollate e pendenti, realizzate da Paolo Fantin quasi a rendere ostensivo il degrado assoluto.

Uno spettacolo insomma di rara efficacia, che tutta la compagnia, da Alessandro Albertin, Silvia Paoli, Eleonora Panizzo, Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, sino a Pietro Pilla, Alberto Fasoli, Michele Maccagno, Stefano Scandaletti e Giacomo Rossetto, ha interpretato con grande professionalità, con una dizione egregia che ha permesso al pubblico, purtroppo poco numeroso, almeno alla prima, di non perdere nemmeno una battuta, mantenendo misura e gusto anche nei momenti più rutilanti, dove l'esperta mano di Michieletto caricava sino a esiti amaramente grotteschi e surreali.

Giuliana Cutore

18/12/2014