RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Lucia di Lammermoor

al Castello dei Carraresi di Padova

È ormai assodato l'appuntamento estivo al Castello dei Carraresi, preludio della Stagione Lirica padovana, che propone un titolo nello spazio aperto sito nel centro della città. Quest'anno è stata la volta del più famoso spartito di Gaetano Donizetti: Lucia di Lammermoor , su libretto di Salvatore Cammarano tratto dal romanzo di Sir Walter Scott. Lo spazio del cortile del Castello, pur essendo suggestivo, offre molte limitazioni per uno spettacolo lirico, la cui scena è limitata dalla facciata del palazzo con due gallerie a volti al pianoterra e al piano rialzato, e con il palcoscenico “a vista” posto a ridosso. Paolo Giani, regista, scenografo, costumista e ideatore delle luci, ha dovuto tener conto di questo non trascurabile aspetto. Inventa pertanto uno spettacolo più simbolico che effettivamente teatrale, che si sviluppa scenicamente su un'improbabile scala bianca illuminata, che ricordava l'avanspettacolo più che un castello scozzese. Il palcoscenico è diviso in due parti, da un lato una grande sfera, forse cosmica, dall'altro una più piccola, sulla quale la protagonista versa un liquido durante la grande scena della pazzia. Un insieme di finti corvi sono collocati sia sul palcoscenico sia sulla galleria superiore. Onestamente non ho capito questo spettacolo, che si lascia guardare senza grandi trasporti, ma il segno drammaturgico e la chiave di lettura mi sono del tutto estranei, e anche volendo focalizzare i temi della ragione famigliare imposta, la trama politica e l'amore tra fazione opposte non si trova un'idea drammaturgica chiara e pertinente. La scala è utilizzata in numerose occasioni con movimenti lenti sia dei cantanti sia del coro. Del tutto superflui i quattro figuranti che creano un po' di scena, come la danzatrice Nicoletta Cabassi, peraltro bravissima, che potrebbe essere un alter ego di Lucia. Forse la contrapposizione registica tra i valori positivi e negativi ha un senso in questa messinscena, ma non sono uscite idee chiare ed effettive che possano trovare una creatività teatrale rilevante, e dobbiamo registrare che i solisti sono stati lasciati alle loro personali capacità nella recitazione teatrale. Costumi di taglio moderno molto banali, tutti in bianco per le donne, in nero per gli uomini (senza cambi), luci non sempre risolte con precisione.

Migliore l'apparato musicale. A cominciare da Giampaolo Bisanti, direttore e maestro concertatore, il quale ci offre un'appassionata lettura che valorizza sia la drammatica vicenda sia il romantico lirismo dei protagonisti. Il direttore milanese è bravissimo nel creare momenti musicali di ampio respiro romantico (finale atto I), e altrettanto in molti momenti drammatici (duetto Lucia-Enrico e finale secondo) riuscendo a scavare nella partitura ed evocando sonorità efficaci e molto teatrali. Non meno rilevante il bravo concertatore che segue i solisti con accurata precisione e anche evidente aiuto in più occasioni. I tempi giustamente sono variegati e serrati secondo la narrazione, ma sempre con un'attenzione particolare al canto, elemento imprescindibile nel repertorio donizettiano.

Buona la prova dell'orchestra di Padova e del Veneto, ensemble sempre in crescita, che si adegua con particolare predisposizione alle indicazioni del direttore. Altrettando buona la performance del coro Lirico Veneto, istruito da Stefano Lovato, con particolare menzione per la sezione maschile.

La compagnia di canto era composta da giovani ormai rodati e conferme dell'odierno teatro lirico. È il caso di Mattia Olivieri, Enrico, che si conferma uno dei giovani baritoni italiani più interessanti della sua nuova generazione. I mezzi vocali sono di primordine, cui si aggiunge un canto preciso e forbito nel colore e nel fraseggio. Penso sia la prima volta che canta il ruolo e sicuramente lo spazio aperto potrebbe non averlo aiutato, ma giustamente i debutti si dovrebbero fare in provincia ed è auspicabile che future occasioni in teatro saranno ancor più pregevoli.

Meno riuscita la prova di Venera Protasova, che dimostra poca dimestichezza con il repertorio virtuoso, ma è una cantante molto precisa e musicale e riesce con onesta professionalità nel ruolo, anche se il fraseggio e gli accenti dovrebbero essere più curati, ma il suo terreno è altro repertorio. Anche Giordano Lucà, Edgardo, dovrebbe curare gli aspetti interpretativi e vocali con maggior perizia, poiché il colore vocale è bello e la linea di canto rilevante, ma il suo personaggio poco credibile, anche per colpa della regia. Bravo e più omogeneo che in altre occasioni il Raimondo di Simon Lim, e professionale Matteo Mezzaro nel ruolo di Arturo. Più disomogenei Normanno e Alisa, rispettivamente Orfeo Zanetti e Lara Botili.

Buon successo al termine. La macchina organizzativa era un po' a corto di personale, il quale avrebbe dovuto contenere e istruire il pubblico, che con molta disinvoltura durante l'esecuzione si alzava per necessità personali o girovagava per la platea. L'allestimento sarà proposto anche al Bassano Opera Festival.

Lukas Franceschini

31/7/2017

Le foto del servizio sono di Marco Cotini.