RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Macbeth

al Teatro Comunale di Bologna

Dopo la pausa estiva, il Teatro Comunale di Bologna riprende l'allestimento di Robert Wilson che debuttò al Comunale due anni or sono, stesso direttore, Roberto Abbado, e cast in parte simile. Come ebbi modo di scrivere allora, la regia di Robert Wilson non si annovera nel convenzionale. Il poliedrico artista statunitense agisce con un linguaggio del tutto personale integrando suono, luce, spazio, azione e danza. La scena è minimalista ma caratterizzata da un gioco di luci di straordinaria efficacia su una base d'oscurità continua che potrebbe significare la losca e truce vicenda. La recitazione inconsueta ed astratta nel simbolismo pone i personaggi ad agire uniformemente con gesta ripetitive e pose manierate, adottando come di sua norma un linguaggio che non si limita alla sola drammaturgia, ma coniuga tra loro elementi che denotano più uno spazio mentale rispetto alla fisicità. Rappresentativo che i protagonisti siano sempre quasi alla ribalta del palcoscenico mentre gli altri in penombra avanzano di colpo come in un'evoluzione inesorabile, a tal scopo, il primo personaggio a comparire è la Lady durante il preludio del primo atto. Quello di Wilson non è un Macbeth classico, lo sapevamo, ma trova in questa forma di linguaggio una simmetria e un'originalità d'indiscussa forma elevata di teatro, e aggiungo di chiara ed immediata percettibilità, senza sconfinare nell'astrusa incoerenza oggi molto in uso nelle regie d'opera. Avvincente lo scorrere d'immagini e sculture simboleggianti l'azione momentanea cui i cantanti si “avvolgono” in una gestualità coreografica d'indiscussa presa. Non meno riusciti i costumi spettrali di Jacques Reynaud, peccato che le luci scure ne coprano la fattura. Essendo il teatro di Wilson basato sull'estetica e la danza ci pare strano aver eliminato il balletto, poiché si eseguiva la versione del 1865, ed elemento di disturbo era la fascia di luce al neon sul proscenio rivolta al pubblico, per chi stava in platea alla lunga accecava.

La direzione di Roberto Abbado è stata bellissima come in occasione della prima esecuzione. Il direttore milanese, assecondato da un'orchestra in forma splendida, restituisce alla ruvida partitura del primo Verdi tutto il cromatismo sonoro necessario, tempi stringati ma incalzanti, drammaturgia tesa ed esemplare. Mai un momento la sua bacchetta ha perso il controllo con il palcoscenico portando a termine un lavoro di concertazione teatrale ad grandissimo livello. Altrettanti lodi si devono esprimere per il bravissimo coro diretto da Andrea Faidutti.

Il cast era molto onorevole pur non vantando esibizioni mirabili che oggigiorno richiamerebbero ad un passato ormai lontano. Dario Solari, stesso protagonista di due anni or sono, ha maturato enormemente il personaggio. Abbiamo avuto un Macbeth più rifinito nel fraseggio, emotivamente convincente nel dramma e di solida professionalità vocale. Amarilli Nizza, Lady Macbeth, ha impressionato per la sbalorditiva psicologia del ruolo creato scenicamente con sguardi, accenti e pose di grande attrice. Vocalmente in piena luce vocale, rifinita in scansioni e colori, anche se alcuni passaggi erano palesemente sorvolati, ma proprio quelle note così ardue oggi nessun'altra è in grado di risolvere.

Di ottima fattura il Banco di Riccardo Zanellato, voce non potentissima ma rifinita e molto musicale, anche Lorenzo Decaro ha fornito buona prova nel ruolo di Macduff, forse l'accento da rivedere ma preciso e ben preparato. Buone le parti di fianco, a cominciare dalla Dama puntuale di Marianna Vinci, al Malcom di Gabriele Mangione e le tre apparizioni Michele Castagnaro, Chiara Alberti ed Alice Bertozzo. Completavano la locandina con solida professionalità il medico di Alessandro Svab, il domestico di Michele Castagnaro, il sicario di Sandro Pucci e l'araldo di Luca Visiani.

Allo spettacolo e a tutto il cast è stato tributato un caloroso e sostenuto applauso al termine.

Lukas Franceschini

16/10/2015
Le foto del servizio sono di Rocco Casaluci.