RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Zaide all'Opera di Roma

il Singspiel dei destini incrociati

Non è tanto l'intenzione di dare forma all'incompiuto che spinge Italo Calvino a elaborare un testo per Zaide, frammento di un Singspiel di ambientazione turchesca che Mozart non portò a compimento, quanto il desiderio inesausto di ricerca, l'atteggiamento stupito di fronte alle diverse vie fra le quali ci troviamo a dover scegliere. L'operazione nasce nell'agosto del 1981, sollecitata dallo scenografo Adam Pollock in occasione del Festival “Musica nel Chiostro di Batignano”. Merito dell'Opera di Roma aver recuperato questo spettacolo impegnando gli artisti già scritturati per il Rake's progress di Stravinskij, non eseguibile per le restrizioni imposte dalla pandemia. Operazione interessante ma riuscita solo a metà. Alla prova del palcoscenico, infatti, le riflessioni di Calvino sul “romanzesco” si rivelano poco teatrali, in particolare nelle infinite elucubrazioni che appesantiscono i due finali d'atto. Resta la cifra identificativa del grande scrittore, costantemente impegnato in una narrazione concepita come un'operazione logica, capace di tessere diverse trame senza fornire una soluzione definitiva allo scioglimento dell'intreccio. Graham Vick colloca l'azione in un cantiere, riferimento fin troppo scoperto al non finito nell'arte. L'ambientazione contemporanea accoglie i personaggi abbigliati secondo la tradizione (belli i costumi di Italo Grassi); la fiaba compare nel bel mezzo del quotidiano, lasciando attonito lo spettatore. Fra i momenti più riusciti quello dell'abluzione di Zaide, la cui ombra spicca attraverso un velo mentre alle sue spalle l'acqua scorre su un enorme telo. Per il resto il segno iconografico di Vick ripete i clichè ai quali ci ha abituati la modernità, ormai tanto frusti da non risultare più materia di scandalo. La partitura offre vere e proprie gemme nelle tre arie affidate alla protagonista, mentre più convenzionali appaiono quelle per voci maschili, e nei due pezzi d'insieme (un trio in due sezioni ed il quartetto conclusivo, ordito con mano felice nella rappresentazione emotiva dei personaggi). Peculiare infine l'adozione di ben due melologhi, modellati su quelli di Benda.

Buona l'esecuzione musicale. Gatti dirige con il consueto acume un'orchestra in forma, trovando perfetta sintonia con i cantanti. Fra questi spicca Chen Reiss, una Zaide perfetta dal punto di vista stilistico e vocale. Juan Francisco Gatell (Gomatz) e Markus Werba (Allazim) fanno valere le proprie doti di musicalità nei rispettivi ruoli. Brioso l'Osmin di Davide Giangregorio, anemico il Soliman di Paul Nilon. Remo Girone infine, al quale era affidata la recitazione del testo, stanco e poco concentrato, non riesce ad imprimere la propria cifra attoriale allo spettacolo.

Resta la soddisfazione per aver sentito risuonare di nuovo la musica al Costanzi in un allestimento da giudicare nell'ottica emergenziale in cui è stato concepito, comunque apprezzabile per aver proposto all'attenzione del pubblico un titolo di rara esecuzione.

Riccardo Cenci

23/10/2020

La foto del servizio è di Yasuko Kageyama.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Perrotta

Recita un'antica sentenza: «Padre Modesto non diventò mai Priore», intendendo con ciò che timidezza e riservatezza, se eccessive e paralizzanti bloccano e impediscono ogni realizzazione pratica ed ogni azione umana. Forse nessuna sentenza è mai stata più pertinente e adatta alla vita e all'opera di colui che fu certo uno dei musicisti più sfortunati della nostra terra e che risponde al nome di Giuseppe Perrotta. Nato a Catania, in via Garibaldi, il 19 marzo del 1843 dall'avvocato Emanuele Perrotta e da Giuseppa Musumeci, il giovane futuro compositore si dedicava alla musica per diletto (la sua formazione fu da autodidatta) e anche per passione, ma per non deludere le aspettative paterne, come tanti figli ubbidienti di quell'epoca, si dedicò agli studi giuridici, laureandosi in legge presso l'Università etnea nel 1862. Nello stesso anno convolerà a nozze con Antonina Ardizzoni Carbonaro, che gli darà due figli. Il suo carattere schivo ed il suo stato di giovane padre di famiglia gli impediranno di viaggiare, a differenza degli amici artisti e letterati suoi conterranei Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Mario Rapisardi, Francesco Paolo Frontini e soprattutto di promuovere, caldeggiare e divulgare le sue composizioni. Si recò solo una volta a Milano nel 1879, su sollecitazione di Verga e Capuana, ma nonostante le calorose accoglienze ricevute dal mondo musicale ambrosiano ritornò subito nella sua città. In seguito Perrotta rimase vedovo, cosa che presumibilmente gli provocò uno stato di profonda tristezza e depressione. Pertanto si ritirò gli ultimi anni della vita nel suo villino di Cibali con i figli e la madre, abbandonando la composizione musicale e morendo suicida nel 1910. Il musicista catanese diede vita a tre opere liriche: Bianca di Lara su libretto di Stefano Interdonato; Il trionfo dell'amore su testo originale dell'omonima fiaba in versi di Giuseppe Giacosa; Il conte Yanno su libretto di Ugo Fleres. Nessuna di queste partiture fu mai rappresentata e certamente anche in questo caso il carattere ostico, poco comunicativo ed austero del musicista avrà avuto il suo peso, assieme certo alla non eccezionale valenza artistica delle opere. Il suo grande e solerte amico Giovanni Verga lo incaricò, certo per aiutarlo e incoraggiarlo, un preludio per piccola orchestra da anteporre al dramma «Cavalleria Rusticana» che andava in scena a Milano, ma la partitura, giudicata di difficile comprensione, venne scartata. Tuttavia l'anno seguente venne riproposta all'arena Pacini di Catania, esattamente il 29 luglio del 1886, ottenendo un buon successo di pubblico e di critica, così come riporta ed evidenzia il Corriere di Catania dell'epoca. Il musicista fu anche autore di musiche da camera, pianistica e vocale.

Il periodico di cultura siciliana «Agorà» ha voluto commemorare alla fine di questo 2010 il centenario della morte del compositore etneo offrendo ai suoi lettori in allegato alla rivista n. 35 un volume biografico ed un CD di sue musiche al prezzo davvero popolare di Euro 7,50. Il libro scritto con estrema cura e perizia da Elio Miccichè si rivela quanto mai esaustivo riguardo non solo la vita e le opere del Perrotta ma anche del milieu artistico e culturale col quale interagì. Il testo si avvale anche di una illuminante prefazione di Roberto Carnevale, il quale coglie acutamente nelle creazioni del «Solitario di Cibali» ascendenze ed arditezze armoniche tipicamente wagneriane. Un ricco apparato epistolare, fotografico ed iconografico, nonché una veste tipografica elegante, rendono la pubblicazione degna di stare nella biblioteca di ogni storico della musica ed appassionato di storia patria.

Il CD contiene 6 Romanze per voce e pianoforte: «Aura», «Gentile», «Idol mio», «Abbandonata», «O fior della pensosa sera» «Cuor morto», «La luna dal rotondo volto», eseguite egregiamente dal soprano Stefania Pistone, accompagnata al pianoforte dalla brava Alessandro Toscano. I pezzi per pianoforte solo: «Ouverture per Cavalleria Rusticana», «Preludio dallo Stabat Mater di Pergolesi», «Preludio in mi bemolle maggiore da Otium», e «Barcarola n. 3 senza parole» sono eseguite con garbo e buon gusto da Mario Spinnicchia.

Giovanni Pasqualino

13/2/2011