RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il dualismo di Ariadne

Alla Scala successo per l'opera di Richard Strauss

Figlio dell'inclinazione coltivata da Hofmannsthal verso le contaminazioni stilistiche, il libretto di Ariadne auf Naxos cattura l'attenzione di Richard Strauss per le sue finissime vibrazioni, risolte in un gioco di specchi e di riflessi che non poteva lasciare indifferente il compositore tedesco. Eppure particolarmente tormentata fu la genesi di questo capolavoro. Una prima versione, che accostava le musiche di scena per Le bourgeois gentilhomme di Molière all'opera vera e propria, di scarso successo per la desueta commistione di suono e recitazione, diede vita a una nuova declinazione la cui peculiare alchimia di serio e faceto, risolta con lieve eleganza, ha ben pochi termini di paragone nella storia del teatro musicale. Realtà e sogno si mescolano con sublime armonia, facendo balenare tutte le tematiche del teatro straussiano. La molteplicità caotica del mondo e l'inattingibile dimensione del mito trovano espressione in un'opera che è mirabile riflessione sulla magia e sul carattere inafferrabile dell'esperienza estetica. Fulcro della vicenda la solitudine di Ariadne, che è solitudine del poeta stesso, come ineluttabilmente distaccati dal mondo concreto erano tanti personaggi wagneriani, dall'Olandese a Lohengrin. In quest'ottica, pur nella molteplicità di echi derivati dal compositore di Lipsia, Richard Strauss rifiuta lo scomodo ruolo dell'epigono grazie anche all'eclettico talento di Hofmannsthal. Una levità quasi mozartiana impregna il dettato musicale, sovente screziata da tratti parodistici, il mistero del sentimento femminile viene sublimato in un'aura di luminoso fulgore, mentre nelle pieghe della commedia emergono la malinconia per la fugacità terrena e lo struggente anelito verso l'eternità.

Di questo intreccio di suggestioni l'allestimento pensato da Frederic Wake-Walser per le rappresentazioni scaligere rende solo in parte la complessità. Il prologo presenta le ambiziose scenografie del palazzo nobiliare dove il ricco signore, per un proprio singolare capriccio, vuole dar vita a uno spettacolo ibrido nel quale il riso prevalga sul tragico, destando le ire del compositore. Alcune roulotte, improvvisati camerini che rimandano a un ambito filmico più che alla commedia dell'arte, ospitano i protagonisti. Unica idea registica in uno svolgimento piuttosto prevedibile il gesto del compositore il quale, frustrato nelle sue aspettative, finge di pugnalarsi per poi resuscitare nel tripudio generale. Atemporale come si conviene l'ambientazione dell'opera vera e propria; una stanza pavimentata di coni a simulare l'elemento acquatico, una sorta di conchiglia nella quale appare e scompare la protagonista, proiezioni dal carattere vagamente cosmico e futuribile. Il variopinto cromatismo nei costumi delle maschere introduce un elemento di esuberante vitalità nell'algida ambientazione del mito. Certamente la sostanziale staticità del duetto conclusivo non offre particolari appigli registici, ma Wake-Walser avrebbe potuto evitare il continuo aprirsi e chiudersi del fondale durante l'apparizione di Bacco, che inevitabilmente sciupa la suggestione del momento, ottenendo analogo effetto con una dissolvenza luministica. In conclusione uno spettacolo nel complesso godibile ma piuttosto ordinario, povero di un vero approfondimento, che ha però il merito di lasciare agio ai cantanti di esprimersi rinunciando a fastidiosi orpelli.

Bella l'esecuzione musicale. Franz Welser-Möst è perfettamente a proprio agio nelle preziosità della scrittura straussiana. La sua concertazione veicola un senso di unità e fluidità narrativa pregevole. Lontano dalle umbratili pennellate di un Sinopoli, protagonista dell'edizione scaligera del 2000, ma anche dalla vitalità roboante di un Solti, Welser-Möst esalta le trasparenze sonore, le innumerevoli sfumature del discorso musicale; e poco importa se non è la bacchetta più fantasiosa dell'attuale panorama direttoriale, come alcuni critici non mancano mai di sottolineare. Si pensi all'esordio di Ariadne, con l'orchestra ad accompagnare il lamento con soffice morbidezza e cristallina perfezione. Uno dei momenti più alti della serata. Merito anche di Krassimira Stoyanova, la quale consegna un ennesimo, riuscitissimo ritratto femminile alla sua collezione straussiana. La voce è omogenea in tutti i suoi registri, timbrata anche nel grave, il fraseggio perfetto e sempre volto a fini espressivi. Le sta accanto il Bacco ben più prosaico di Michael Koenig, piuttosto robusto ma non molto raffinato dal punto di vista tecnico e a volte sforzato nell'acuto. Ottima la Zerbinetta di Sabine Devieilhe, dalla voce esile ma musicalmente inappuntabile nelle ardue colorature che il ruolo le impone, quasi un simbolo del suo carattere volubile. Riguardo le maschere, non sufficientemente morbido Thomas Tatzl nel magnifico Lied di Harlekin, apprezzabili gli altri. Nel prologo Daniela Sindram incarna un compositore romantico e idealista, costantemente in bilico fra scoramento ed esaltazione. Markus Werba interpreta il Musiklehrer con la consueta classe, mentre una menzione speciale merita il sovrintendente Alexander Pereira nel ruolo recitato, peraltro con grande espressività, dell'Haushofmeister, quasi ad accentuare in maniera divertita quel gioco del teatro nel teatro che è caratteristica saliente dell'opera. Scala colma nei palchi e nel loggione, con una platea purtroppo costellata da ampi spazi vuoti. Peccato, perché il ritorno di Ariadne dopo tredici anni di assenza avrebbe meritato maggiore attenzione. I presenti, comunque, hanno dimostrato di apprezzare.

Riccardo Cenci

29/4/2019

Le foto del servizio sono di Marco Brescia & Rudy Amisano.