RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Parigi

Importante riesumazione per l'anniversario di Gounod

La nonne sanglante (La monaca sanguinante), seconda opera di Charles Gounod dopo Sappho, veniva presentata all'Opera nel 1854 con successo. Poi morale e cambiamenti nella direzione del Teatro la facevano sparire dal cartellone dopo solo 11 repliche. E da allora il silenzio fino ad oggi quando quel meraviglioso scrigno che è la salle Favart, sede dell'Opéra Comique, appena finiti i lavori intrapresi per ripristinarla, si è assunto l'onere e l'onore di presentarla di nuovo al giudizio del pubblico. E l'operazione è riuscita con il tutto esaurito e un interesse e successo vivissimi.

Non che si tratti, per il sottoscritto, di un capolavoro. Ci sono dei bei momenti con altri piuttosto banali o scontati, alti e bassi, e un solo personaggio delineato piuttosto bene, il protagonista maschile, a scapito di tutti gli altri ma soprattutto delle due Agnès, la monaca del titolo e la sua omonima, amante segreta del giovane – non sto a raccontare la trama gotica perché ci porterebbe via un sacco di tempo e il lettore che voglia approfondire l'argomento troverà tutti i dati su Internet. Per di più, se la grande aria di Sappho è rimasta nel repertorio delle grandi cantanti (soprani o mezzi ch'esse siano), qui ce ne sono due soprattutto (sempre del tenore) che, difficili e bene scritte, non arrivano però a quel punto che le possa rendere memorabili e indispensabili almeno per un disco o un concerto. Anche se ci sono stati dei tagli minori lo sviluppo è troppo lento all'inizio per precipitare nei due ultimi atti

Quello che colpisce, un lustro prima del Faust, è la ricchezza e interesse dell'orchestrazione. Sicuramente lo spettacolo verrà ripreso per la fondamentale collana che sull'opera francese prepara con devozione e sicuro criterio il Palazzetto Bru Zane, ma la cosa importante adesso è sottolineare il valore culturale di questo vero evento operistico, il coraggio e i mezzi con i quali si è cercato di servire nel migliore dei modi un titolo sparito, che forse non entrerà mai nel repertorio ma che meritava una nuova opportunità.

L'allestimento ideato dal giovane regista David Bobée era semplice ma molto funzionale e chiaro e ricavava il massimo dagli artisti e dalle luci, sobrie le scene e belli i vestiti anche se qualche soluzione (come quelle del balletto o delle feste contadine) non era per niente ideale perché andava chiaramente contro la musica e – particolarmente le feste – non consentiva di seguire la trama.

La direzione di Laurence Equilbey, con i suoi gruppi Accentus (coro, preparato in quest'opportunità dal maestro che collabora con la Equilbey, Christophe Grapperon) e Insula (un'orchestra con sede appunto all'isola di Parigi presso un auditorio, La Seine Musicale, e formata da specialisti in strumenti – quelli che vengono utilizzati – del Settecento e dell'Ottocento) era perfettamente capace di restituirci tutta la forza di una partitura in cui ovviamente crede e sia le dinamiche che l'agogica risultavano ineccepibili e l'attenzione al palcoscenico aiutava sempre i cantanti che si vedevano (e sentivano) comodi.

Spiccava, manco a dirlo, nel ruolo scritto per Louis Gueymard (un tenore che aveva seguito con grande successo i passi di Duprez), l'ottimo Michael Spyres, vero trionfatore della serata, con un timbro più bello ma con gli acuti stratosferici sempre saldi, con un'omogeneità di registri stupefacente, una dizione perfetta (non si perdeva una sillaba), una tecnica ottima e un senso dello stile tra i migliori che si possano trovare oggi sulle scene liriche. E così, se le arie erano momenti di tripudio per un pubblico assolutamente folgorato da cotanta prestazione, i recitativi erano semplicemente magistrali e l'artista coinvolto come al solito.

Tra gli altri si ritagliava un bel successo l'Agnès (quella in vita) di Vannina Santoni (soprano), che ha delle note difficili anche se poi il ruolo non le consente di brillare. Peggiore la situazione della monaca del titolo, l'altra Agnès, che canta ancora meno e senza momenti troppo impegnativi; ma l'interprete era brava (Marionne Lebègue, mezzo). Il colpevole della situazione (padre di Rodolphe, promesso sposo e uccisore della monaca) veniva cantato assai bene da Jérôme Boutillier (baritono) ma anch'esso soffriva della poca definizione del personaggio. Pietro l'Eremita, che veniva aggiunto con grande compiacimento di Gounod, ha un intervento importante nell'atto primo ma poi ha la sorte di un comprimario: molto interessante il basso Jean Teitgen in questa parte. Il paggio del protagonista, un soprano en travesti, ha maggiore interesse (quando forse doveva averne meno) e Jodie Devos ne traeva il massimo partito possibile. Gli altri ruoli minori venivano affidati a membri del coro, ma l'altro padre e capo del clan nemico (Luc Bertin-Hugaut) dimostrava di avere problemi di emissione. Molto meglio Olivia Doray nel ruolo episodico di Anna la contadina ed Enguerrand de Hys in quelli di Fritz (sposo di Anna) e del guardiano notturno.

Come detto, posti esauriti e tantissimi applausi.

Jorge Binaghi

19/6/2018

Le foto del servizio sono di Pierre Grosbois.