RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Ricordi assassini

L'incidente che stroncò la vita di Annibale Ruccello ha senz'altro privato il teatro di uno dei suoi più interessanti ed innovativi drammaturghi, almeno a giudicare, oltre che dall'ormai classico Ferdinando, scritto per Isa Danieli nel 1986, da Notturno di donna con ospiti, del 1983, del quale Giuliana De Sio ha fatto, dal 1996, uno dei suoi ruoli fondamentali, con la regia di Enrico Maria Lamanna, e che è stato proposto dallo Stabile di Catania il 14 gennaio, con repliche fino al 25.

Notturno di donna con ospiti è un dramma che mischia, in maniera suggestiva ed inquietante, ai temi delle periferie campane desolate e degradate, cari a Ruccello, quelli della violenza domestica, ma soprattutto un'acre e corrosiva critica dei rovinosi effetti del perbenismo sociale e pseudoreligioso che, ancora negli anni '80, stentava a cadere sotto i colpi di maglio della laicità e del progresso, e che deturpava molte giovani vite, costringendole a scelte che avrebbero poi scontato, a livello conscio e inconscio, per tutta la vita, e molto spesso con esiti disastrosi.

Il dramma in questione è la storia di una casalinga, Adriana, che trascina la sua esistenza tra due bambini piccoli, un marito metronotte che torna a casa solo all'alba, piatti da lavare e faccende di casa, mangiata, come direbbe Pirandello “dalle mosche e dalla noia”, ma soprattutto preda di una serie di ricordi e sensi di colpa ben nascosti in un cantuccio della sua psiche, che in una caldissima notte estiva, sotto forma di strani ospiti inattesi, tornano a bussare senza scampo alla sua mente. Strani ospiti perché, per tutta la durata del dramma, non si capirà mai univocamente se sono persone reali o proiezioni della psiche di Adriana, stante anche il loro modo di comportarsi, incongruo, incoerente e sconnesso come in un sogno; questi ospiti, una ex compagna di scuola, il marito di lei che solletica la sensualità di Adriana e l'ex fidanzato Sandro, ormai finito in galera, instaureranno per tutta la notte con la protagonista e con il marito di lei, Michele, uno strano ménage che prevede un continuo rovesciamento di ruoli, tra seduzioni vicendevoli, ricordi di infanzia, partite a poker e docce continue. In mezzo a questa baraonda l'Adriana rassegnata, che si preoccupa dei figli e che ne porta un terzo in grembo, cede pian piano il passo ora all'Adriana adolescente, che vive con i genitori un rapporto fatto di sensi di colpa, di ossequio ad una bigotta morale corrente, e che alla fine rimane incinta proprio di Sandro, ora ad una donna felice di questa inattesa distrazione che il destino le manda, pur continuando a snocciolare le sciocchezze tipiche di certe casalinghe, come “Vi preparo due spaghetti”, mostrando le foto dei bambini, parlando dei genitori e in particolare del padre morto, cosa che desta l'aggressività verbale e fisica non solo degli ospiti, ma anche del marito.

Il tema dei genitori diviene sempre più ossessivo, con la madre urlante che sbuca da tutte le parti, sia da uno scenario multiplo che si apre improvviso nella verandina o nella dispensa, sia dal frigorifero, sia infine materializzandosi sulla scena, rammentando ad Adriana l'aborto del figlio avuto da Sandro, ripulito perché tutto torni come prima. Fosca figura quella della madre, purtroppo ben ritagliata sulla realtà di certe madri meridionali che ancora sopravvivevano negli anni '80, dedite a colpevolizzare i figli, ora con angosce sottili ora con anatemi vari, e che tanti danni hanno fatto, costringendo le figlie spesso a matrimoni di convenienza, e poi, da vecchie, utilizzando piagnistei e malanni per continuare ad interferire pesantemente sulla loro vita.

A questa sovrapposizione tra il figlio abortito e i figli esistenti Adriana non regge e, ormai impazzita, sale la scala che porta alla camera dei bambini e li uccide, grottescamente (ma non troppo) vestita di un abito da sposa che dopo il delitto sarà completamente lordo di sangue. Al marito, rientrato realmente questa volta all'alba, non rimarrà che assistere attonito allo scempio.

Come si vede, un miscuglio tra onirico e surreale, dal quale emergono sottilmente tutta una serie di fili del ricordo e del rimosso che avvolgono come ragnatele una donna, vittima come tante un tempo, ma come purtroppo ancora molte, di un tessuto di pregiudizi, di sensi di colpa e di rimpianti che costituisce il substrato esplosivo che genera a volte una cieca violenza domestica, che la cronaca riesce soltanto a registrare senza poterne spiegare i motivi reali, spesso sepolti negli anni dell'adolescenza o addirittura dell'infanzia, e le cui radici vanno forse ricercate soprattutto in quei rapporti distorti e velatamente tirannici che i genitori degli anni '70 instauravano con i figli.

Un lavoro di grande impatto emotivo, a momenti quasi un pugno nello stomaco specie nella seconda parte, che la regia di Enrico Maria Lamanna ha condotto con mano magistrale, guidando lentamente lo spettatore nei meandri della psiche della protagonista, la cui evoluzione verso il delitto la De Sio ha reso in maniera superba, fornendo una prova attoriale di gran classe, dietro la quale era possibile scorgere non solo una profonda intelligenza del testo, ma anche un lavoro continuo di riflessione sulla multistratificazione del personaggio, che da casalinga sciatta e ciarliera si tramuta pian piano in adolescente nei dialoghi con la madre e col padre, in donna insoddisfatta e tentata dalle avances del marito di Rosanna e dell'antico fidanzato, assorbendo queste sfaccettature senza rifiutarne nessuna, in una dinamicità che è innanzitutto amplificazione della psiche e delle possibilità espressive del personaggio di Adriana.

All'altezza della De Sio tutto il cast, composto da Gino Curcione, Rosaria De Cicco, Andrea Venuti, Francesco Di Leva e Luigi Iacuzio; un plauso particolare alle musiche di Carlo De Nonno, che sono ben riuscite a rendere, in un originale pastiche tra canzoni anni '60 e '70, il clima della vita di provincia meridionale.

Giuliana Cutore

16/1/2017