RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Otello

di Gioachino Rossini alla Scala di Milano

Dopo ben 145 anni il dramma per musica Otello di Gioachino Rossini ritorna al Teatro alla Scala, in una nuova produzione in collaborazione con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino. Scorrendo la cronologia delle rappresentazioni scaligere colpisce la separazione netta che avvenne alla fine nel XIX secolo tra l'omonimo titolo di Rossini e di Verdi. Infatti, l' Otello rossiniano vanta ben tredici edizioni dal 1823 fino al 1870, in seguito sono ben più numerose le edizioni dell'opera di Verdi, la quale fu eseguita in prima assoluta il 5 febbraio 1887. Non è da sottovalutare che purtroppo il repertorio serio di Rossini cadde nell'oblio per molti anni, salvo alcuni limitati titoli. Otello “risorse” in una pioneristica edizione americana alla fine degli anni '50, per poi trovare una sua riabilitazione cominciando dall'edizione Rai del 1960 cui seguirono recite sia all'Opera di Roma sia al Metropolitan. Tuttavia fu negli anni '80 e '90 del secolo scorso che ebbe un vero e proprio exploit, soprattutto per l'eccellenza dei cast che si potevano scritturare nella difficile distribuzione delle parti. La Scala ha avuto “la colpa” di ignorare tale periodo propizio lasciandosi sfuggire l'occasione di proporre titoli rossiniani seri di alto livello e registrando un ritardo rilevante, se si considera che ad esempio Semiramide non sia più stata rappresentata dopo l'edizione del 1962.

La produzione del Teatro alla Scala è andata in scena con molti inciampi e presumo che questo abbia in parte condizionato l'esito finale. Il direttore previsto era John Eliot Gardiner, il quale già da qualche mese si era ritirato dall'incarico, sostituito dal maestro cinese Muhai Tang. Anche la struttura scenica ha subito delle variazioni dall'impianto originale ideato dall'architetto Anselm Kiefer, poi defilatosi, pertanto dalla sua idea è stato lo stesso regista Jurgen Flimm a ricavarne una versione alternativa. Tutto questo non ha contribuito a rendere lo spettacolo degno di nota. Chi scrive ammette le sue lacune, ma questo spettacolo m'è parso quasi completamente incomprensibile, con trovate di dubbio gusto rasenti al ridicolo. L' Otello di Rossini non è esattamente come lo scrisse Shakespeare, e il librettista ha parte primaria per ingarbugliare la vicenda, tuttavia sappiamo esattamente cosa accade e che figura drammaturgica assumono i protagonisti. Jurgen Flimm sembra non aver idee precise, o forse troppo artefatte. Una scena fissa spoglia delimitata da tre fondali di stoffa per nulla suggestivi, al centro un tavolo da banchetto o riunione politica e attorno i personaggi che intervengono con trovate assurde. Non si capisce perché nel primo duetto Roderigo-Jago questi debbano amoreggiare con due probabili prostitute. Si sorride quando a Desdemona e Rodrigo, in segno di probabili nozze, è posto loro in capo un vaso di fiori. Nel secondo atto non si capisce cosa significano le gesta di due comparse che innaffiano il prato con tanica e spruzzino per vigne. Il catafalco di una gondola funge da letto mortale per l'omicidio, con tanto di arpa su carrello a rotelle che attraversa il palcoscenico. Nella lavagna portata da Emila con scritte in arabo quale lettura potremo individuare? Forse che la protagonista si dovrebbe convertire all'Islam per compiacere l'amato? Non saprei! Il doge è affetto da un tremante morbo di Parkinson, chissà il perché! Nel finale le tre brutte tele che compongono la spoglia scenografia cadono a terra, facendo vedere il retropalco della Scala con le scene di Tosca , che si alterna ad Otello , sul fondo mentre si alza una grande stampa di una città moderna anni'30. Un senso logico non riesco a trovarlo. Tanta confusione, poche idee, o tante secondo la comprensione, che non rendono giustizia all'opera. Ursula Kudrna, costumista, ci mette del suo a rendere le cose ancor più complicate. Non esiste una linea storica dei costumi, ci sono coristi in frac ottocentesco, e coriste che sembrano uscite da Piccolo mondo antico , tutti in nero, poi arrivano altri che indossano costumi cinquecenteschi, e nel finale ce li troviamo tutti in abito nero stile mafia americana, le donne in tailleur sempre in tinta, per non parlare dell'abito piumato di Desdemona che rasentava una goliardica parodia della “Cage aux Folles”. Proprio questo spettacolo non è stato centrato, alla recita cui ho assistito il pubblico mugugnava solo negli intervalli, alla prima ha contestato, pare, con un certo vigore.

Altra delusione arriva da Muhai Tang, un direttore purtroppo molto inerte che con Rossini proprio non c'entra. Mancano scansioni orchestrali, gioco di colori, ritmo, narrativa musicale. I passi più concitati mancano di mordente e le poche cabalette non rispettano il ritmo. I recitativi sono così noiosi e lenti che sembrano interminabili, la grande scena di Otello al III atto è di una mediocrità allucinante che toglie tutta la tensione del dramma trasformandosi paradossalmente in un racconto liederistico.

Con questa direzione è ovvio che tutto sia ridimensionato, a cominciare dal Coro del Teatro alla Scala, diretto da Bruno Casoni, che sappiamo essere di qualità, qui per nulla espressa ma non per difetti loro.

Gregory Kunde è un tenore anomalo, ormai è cosa risaputa e non pare sia il caso di fare troppi appunti anche in considerazione di una carriera onorevole ora giunta a traguardi temporali molto avanzati. La voce non è certo seducente, anzi piuttosto sgranata e le mezzevoci approssimative. Tuttavia è un interprete e sa quello che canta, gli acuti ancora presenti anche se non squillanti come un tempo, le variazioni e lo stile idonei. Gridare al miracolo mi pare eccessivo, affermare che ci troviamo di fronte ad un grande artista giunto a quest'appuntamento scaligero ormai in parte usurato è ovvio ma è lecito considerare che non ci sia alternativa al ruolo.

Olga Peretyatko ritornava al ruolo di Desdemona dopo le non felici recite pesaresi del 2007. Il risultato non cambia poiché la signora avrebbe anche una bella voce di soprano lirico-leggero ma trovo sia completamente fuori parte nei cosiddetti ruoli Colbran. Infatti, abbiamo ascoltato una voce educata ma sicuramente poco adatta al personaggio, sia per spessore ma soprattutto per accenti e fraseggio limitati dalla natura. I passi più ostici, finale atto II e l'intera scena del III atto, “Assisa a' piè d'un salice”, sono risolti insufficientemente mancando anche una partecipazione interpretativa che poco le appartiene.

Juan Diego Florez cesella a meraviglia il ruolo di Rodrigo, suo cavallo di battaglia. Voce sempre inappuntabile, acuti splendidi, proiezione di gran lustro. Sarei imparziale se affermassi che le agilità non sono quelle di un tempo, ed è vero ma è cresciuta la resa psicologica dell'innamorato e non dimentichiamo che con una simile direzione era difficile eseguire funamboliche suggestioni vocali, resta tuttavia il miglior cantante rossiniano di oggi.

Edgardo Rocha era un buon Jago, vocalmente molto dotato e ben proiettato nel registro acuto dimostrando anche una ragguardevole predisposizione al canto rossiniano, e nei duetti con gli altri due “mostri” è riuscito a farsi onore.

Roberto Tagliavini è stato un Elmiro molto vissuto ed interpretato cui si aggiunge un buon materiale vocale che gli ha permesso di emergere come ottimo cantante. Note positive per Annalisa Stroppa, un'Emilia precisa e con buona voce, eccellente il Doge di Nicola Pamio e rilevante il gondoliere di Sehoom Moon dell'Accademia del Teatro alla Scala. Il quartetto dei seguaci di Otello ha reso con onore la professionale prova: Davide Baronchelli, Guilllermo Esteban Bussolini, Alberto Paccagnini, Vincenzo Alaimo. Successo incontrastato al termine riservato alla parte musicale, con ovazioni per Kunde e soprattutto Florez.

Lukas Franceschini

20/7/2015

Le foto del servizio sono di Mathias Baus – Teatro alla Scala.