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Milano

I tragici amori di Romeo e Giulietta

La Scala è tornata sul suo precedenteallestimento, visto anche a New York al Met e in altri posti, per la regia di Bartlett Sher (qui ripresa da Dan Rigazzi) che non è stata mai apprezzata ma, senza infamia e senza lode, lascia concentrarsi sulla magnifica musica che Gounod scrisse in due formati sulla famosa coppia.

E se la parte visuale era scontata ma bella (forse troppo scura) dal podio e grazie ai professori dell'Orchestra del Teatro veniva la prova maggiore della serata. Lorenzo Viotti si è confermato bacchetta di prima importanza e ha saputo mettere in rilievo la ricchezza dell'invenzione e dell'orchestrazione di Gounod senza mai venir meno al perfetto rapporto col palcoscenico. Un esempio ammirevole è stato il preludio e la prima scena che mettono in evidenza quanto il maestro francese ha ascoltato e accolto la lezione di Verdi

Benissimo come al solito il coro preparato dal grande Maestro Bruno Casoni, anche se forse sarebbe stata da desiderare un'articolazione più chiara del francese.

Si tratta di opera per due mostri del canto e parti e particine per niente facili. In queste ultime il lusso veniva da Sara Mingardo (la balia) e in particolare da Mattia Olivieri che dimostrava come per un cantante di classe non ci sono ruoli minori. Mercuzio forma, insieme a Fra Lorenzo, la coppia di deuteragonisti e ha una bellissima ballata (quella sulla regina Mab), difficile da cantare e sorprendentemente molto originale per i gusti musicali dell'autore, qualche frase notevole e l'intervento – breve e in questo caso troppo breve – al terzo nella scena del duello e della morte. Bastavano per capire che la voce di Olivieri è in costante sviluppo e forse non lo sentiremo più in questo tipo di ruoli. Come al solito l'artista era molto fisico nei suoi interventi oltre a muoversi con una flessibilità da vero spadaccino.

L'opera ha tre parti di bassi. La prima e più importante è quella di Fra Lorenzo, che in altri tempi veniva affidata a una prima figura della corda. Nicolas Testè non sarà esattamente questo (bel timbro ed emissione ma volume di poco tonnellaggio) ma sa cantare, dire ed interpretare. Mi dispiace dire che Frédéric Caton (Capuleto, con tanto intervento nell'atto primo soprattutto) aveva dei problemi in zona acuta, lo stesso che Jean-Vincent Blot nella brevissima ma importante parte del Duca .

Marina Viotti, che ha cantato con una stampella per un incidente, era nonostante ciò un vivace paggio Stefano molto a suo agio nei suoi couplets dell'atto terzo. Tra gli altri, tutti volenterosi e in alcuni casi allievi ancora dell'Accademia della Scala, spiccava il Tebaldo del tenore Ruzil Gatin, apprezzabile anche se dal timbro piuttosto da caratterista.

I due protagonisti venivano scelti tra i nomi oggi più importanti per le loro parti. Vittorio Grigolo non è stato mai, nel mio particolare caso, un tenore di mio gradimento. Ha un timbro bellissimo (adesso un po' più scuro) ma il suo atteggiamento da primo tenore e sempre esteriore sono due cose che non mi hanno mai convinto. Questa volta, tranne in un paio di momenti, è riuscito a controllarsi. Come canto oscillava tra le buone intenzioni di canto francese in particolare nei due primi atti – però con delle mezzevoci sbiadite e poco ortodosse e un volume piuttosto modesto – e la più spontanea vena generosa (diciamo alla Corelli per intenderci ma non per quanto riguarda i risultati) che veniva fuori nel grande concertato, con delle frasi un po' veriste che si ripetevano anche in qualche momento degli ultimi duetti. Che al pubblico scaligero invece piaccia eccome si è potuto vedere malgrado un pubblico restio all'applauso in modo davvero poco rispettoso per gli artisti.

Diana Damrau è da un tempo oggetto di riserve da parte da molti. Non va negato che la voce ha perduto volume e perfino un po' di smalto e che il centro la mette qualche volta in difficoltà. Ma canta con una tecnica e stile delle autentiche grandi, l'acuto è più che sufficiente, il trillo e le agilità di grande qualità, l'attrice affascinante e così viene a capo dei momenti più difficili per il soprano, in particolare la grande aria del veleno che fino a relativamente poco fa veniva tagliata appunto per questo problema.

Jorge Binaghi

3/2/2020

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano – Teatro alla Scala.