RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il Messiah in bianco e nero di Rousset

Il segreto della popolarità del Messiah risiede certo nella freschezza inventiva del genio haendeliano, esaltata dalla particolare struttura conferita all'oratorio. Il librettista Charles Jennens, infatti, elude la mera raccolta biblica per confezionare un testo colmo di spirito drammatico, foriero di ispirazione, nel quale il coro assume un ruolo preponderante. Nell'ambito delle tre parti che articolano l'opera, il compositore coglie tutte le occasioni espressive per confezionare una partitura rigogliosa nella quale l'illustrazione testuale assume le movenze più varie. Magnifico scrigno di potenza inventiva, dalla sua prima esecuzione avvenuta nel 1742 Il Messiah non cessa di sorprendere l'ascoltatore. Vi era molta attesa per l'esecuzione firmata dal Monteverdi Choir e dagli English Baroque Soloists, complessi fondati da John Eliot Gardiner e purtroppo sottratti al loro creatore in seguito a un episodio increscioso, attualmente liberi da un esclusivo controllo direttoriale. Christophe Rousset è, sulla carta, interprete ideale del barocco in tutte le sue incarnazioni. Il clavicembalista e direttore francese ha dalla sua parte una inesausta tensione verso la scoperta, una curiosità che lo porta ad ampliare il repertorio con proposte di raro ascolto. In questo caso, Rousset si è voluto cimentare con l'oratorio più noto nell'ampia produzione del compositore di Halle. Il risultato complessivo è un poco al di sotto delle aspettative. Rousset sfoggia indubbia padronanza stilistica, ottenendo tessiture di grande chiarezza, sia da parte del coro quanto dall'orchestra. Se qualcosa manca è una maggiore fantasia, che permetta di evidenziare i variegati atteggiamenti dell'opera. La scrittura di Händel mescola con rara sapienza la vitalità italiana agli influssi francesi, evidenti ad esempio nell'ouverture, il rigore contrappuntistico tedesco alle estroverse sonorità dell'anthem inglese.

Di tale ricchezza coloristica Rousset offre una visione lucida e brillante, ma parziale. Certamente non mancano i momenti pregevoli, ma l'impressione generale è di una certa uniformità. Discutibile il gruppo dei solisti in due dei suoi quattro elementi. Iniziamo dagli aspetti positivi. Ana Vieira Leite (soprano) ha voce limpida e ben governata, sempre a proprio agio sia nel canto melismatico quanto nell'espressione sentimentale. Altrettanto valido William Thomas (basso), dal timbro nobile e dalla vocalità generosa, in particolare evidenza nell'aria con tromba obbligata. Purtroppo Sarah Connoly (contralto) è la pallida ombra della cantante di un tempo. Il timbro è usurato, il fraseggio povero di accenti e sfumature. Andrew Staples (tenore), infine, ha voce dal colore piuttosto anonimo e agilità a volte faticose. Risposta comunque entusiastica da parte del pubblico della sala Sinopoli dell'auditorium, nell'ambito della tournée che, oltre alla tappa romana del 14 dicembre, prevede altri appuntamenti a Parigi, Milano e Londra.

Riccardo Cenci

17/11/2025

La foto del servizio è di MUSA.