RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Richard III

in prima rappresentazione italiana alla Fenice di Venezia

Al Teatro La Fenice, in prima rappresentazione italiana, Richard III di Giorgio Battistelli, dramma musicale su libretto di Ian Burton basato sul racconto di William Shakespeare, nell'allestimento dell'Opera Vlaanderen di Anversa (2005) con regia di Robert Carsen. L'opera è interamente costruita sul protagonista, celebre personaggio della storia inglese. Ultimo dei Plantageneti, Riccardo III era affetto da deformità sia fisiche sia psicologiche, e assetato di potere al punto da annientare la sua stessa famiglia. Nella sua opera Battistelli si sofferma sugli ultimi anni della vita del re, il quale prima elimina il fratello George di Clarence, in seguito rinchiude nella Torre di Londra i suoi due nipoti (figli di Edward IV) dei quali non si seppe più nulla e il sospetto è ovvio. Divenuto finalmente sovrano, grazie all'aiuto del Duca di Backingham, morirà nella celebre battaglia di Bosworth nel 1495, che pose fine alla Guerra delle Due Rose e con l'incoronazione di Enrico VII inizierà il periodo della dinastia Tudor.

Il librettista Ian Burton, pur conservando i tratti salienti del dramma originale (Shakespeare racconta le vicende in cinque atti e con ben quaranta personaggi), ha operato numerosi tagli secondo criteri concordati con il compositore, creando un vero e proprio "dramma per musica", il quale si sviluppa in due atti, sedici scene e ventun personaggi. L'opera è strutturata in tre scene chiave, che sono rappresentate dalle incoronazioni di Edward IV, Richard III e Henry VII. Nello spartito di Battistelli il protagonista assume caratteristiche drammatiche e ironiche, che arrivano a sedurre per il carisma istrionico di un capo diabolico ma fragile. La scrittura vocale baritonale è molto impegnativa, poiché deve fare da specchio alla personalità multipla del ruolo. All'assolutezza del ruolo corrisponde un altrettanto virtuosismo vocale di forte impatto interpretativo.

Il coro ha un ruolo fondamentale considerata la sua pesante presenza in tutto lo spartito e nelle forme più varie. Coprotagonista musicale, commentatore a tergo (come nella commedia greca), religioso in liturgia, popolo che inneggia la battaglia.

La scrittura orchestrale contiene una ricercatezza di stili, invenzioni timbriche, e un pathos generale drammatico, che nel suo insieme si avvale di un organico importante con un rilevante utilizzo di percussioni cui si aggiunge il timbro del tradizionale strumento coniugato con un campionario di variegate sonorità. La musica è molto bella e il compositore sfrutta tutte le possibilità stilistiche creando una tensione impressionistica molto efficace.

Tuttavia, l'opera non può essere dissociata dal bellissimo spettacolo ideato da Robert Carsen per l'Opera di Anversa e ora presentato alla Fenice. La scena è dominata da un ipotetico teatro-arena che vagamente assomiglia al Globe, il teatro di Shakespeare. In questo luogo, ove si svolgevano le commedie e le tragedie del Bardo, si rappresenta la cruda e drammatica epopea di Riccardo III. Radu Boruzescu disegna una struttura sghemba come la schiena del protagonista, due ingressi ai lati sormontati da due pulpiti. Il tutto poggia su una superficie con sabbia rossa, il sangue che scorre a fiumi. Cortigiani, coro, e personaggi tutti vestiti di nero (non di foggia quattrocentesca) sono sempre presenti in scena, pronti a seguire il vincitore sovrano e a compiere delitti.

Nello spettacolo di Carsen sono evidenziate tutte le caratteristiche del diabolico sovrano. Innanzitutto una lugubre atmosfera avvolge tutta l'opera (grande lavoro del progettista luci Peter Van Praet con il regista), rende ancor più spettrale l'azione drammatica e di sangue che avverrà, e pertanto la potenza diabolica è ampliata; Riccardo, che alla fine è uno di noi, esce dalla folla e si proclama re non è altro che un infelice ma feroce nessuno che perirà per sua stessa gloria. Egli utilizza tutto se stesso, anche i difetti solo nel momento del bisogno, il delitto è perorato ma mai eseguito personalmente. Tutti sono impauriti e terrorizzati tranne la madre, l'unica che riuscirà a maledirlo. In questa situazione abbiamo avuto una grande lezione di teatro, un modo esemplare di raccontare, ricco d'idee e di grande fascino drammaturgico. I costumi potevano apparite dozzinali poiché erano tutti uguali e di colore nero, spesso potevano confondere i personaggi, ma avevano una loro funzione: l'unicità di una corte al servizio del re, tutti uguali e nessuno indispensabile, neppure il re stesso con tanto di bombetta tipicamente english. Uno spettacolo veramente esaltante, ricco di spunti e realizzato con una perizia d'intenzioni da lasciare esterrefatti.

Protagonista era il baritono Gidon Saks, buon cantante con voce eclettica anche se non proprio baciata nel timbro ma capace di forte espressione cui va sommata una spiccata misura di recitazione. Il plauso incondizionato è anche per la capacità personale di essere sempre puntuale con i differenti segmenti della partitura, i quali si alternano in canto lineare e spasmodico, un parlato declamato e prestazioni sussurrate.

Tra le figure femminili spiccava la bravissima Sara Fulgoni, Duchessa di York, per una memorabile invettiva contro il figlio. Non meno rilevante la Queen Elisabeth di Christina Daletska, avvinta e sofferente. Annalena Persson, Lady Anne, era imbarazzante per una linea di canto poco rifinita e un registro acuto al limite dell'udibile.

Azzeccato sia vocalmente sia scenicamente il Backingham di Urban Malmberg, perfetto funzionario "di palazzo" e forse contrapposto a Riccardo. Emozionante Christopher Lemmings nel doppio ruolo di Clarence e Tyrrel, e misuratissimo l'Hastings di Simon Schnorr. Paolo Antognetti era un convincente Richmond, Philip Sheffield un Edward IV di grande impatto scenico. Misurato ed efficace il principe Edward interpretato da Jonathan De Ceuster, diafano il Principe di York cantato da un membro del Koble Children's Choir. Molto professionali tutti gli altri artisti che componevano la folta locandina: Till von Orlowsly (Catesby/Rivers), Szymon Chojnacki (Ratcliffe/Brackenbury), Matteo Ferrara (primo assassino/arcivescovo), Francesco Milanese (secondo assassino/sindaco).

In quest'occasione non possiamo considerare il Coro del Teatro La Fenice nella sua classica definizione ma elevarlo al grado di coprotagonista, tanto Battistelli impone ed esige dalla massa corale, la quale, istruita da Claudio Marino Moretti, non sbaglia un colpo e si adopera in una prova superlativa.

Sul podio uno specialista del repertorio moderno come Tito Ceccherini, sul quale giustamente la Fenice ha riposto oneri esecutivi di rilevante incisività. La sua lettura, sempre lieve, è contraddistinta da un'esuberanza cromatica e una perfetta armonia tra le varie sezioni, soprattutto le percussioni che sono frequentemente utilizzate. Non meno rilevante è stato l'apporto ai solisti, nella complessa scrittura vocale, e il variegato equilibrio sonoro.

Teatro esaurito in ogni ordine di posto e al termine il trionfo era scontato, con particolari ovazioni per il protagonista, il regista e ovviamente il compositore.

Lukas Franceschini

12/7/2018

Le foto del servizio sono di Michele Crosera.