RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Quel duca di Mantova ... Che fior di mascalzone!

Rigoletto della Tampa Lirica a Piacenza

 A Piacenza, che non è seconda a Parma quale città verdiana, non si era ancora spenta l'eco delle sontuose esecuzioni oratoriali dei Due Foscari al Teatro Municipale (22 e 24 maggio), dirette da Donato Renzetti e con la carismatica presenza di Leo Nucci, felicemente attorniato da Fabio Sartori, Kristin Lewis, Marco Spotti, Fabrizio Paesano e Federica Gatta, che, sotto il solleone di luglio, è arrivato il turno di Rigoletto (domenica 5 luglio).

Tra l'opera prima, Oberto, conte di San Bonifacio (Milano, Teatro alla Scala, 1839), e Rigoletto (Venezia, Teatro La Fenice , 1851), in dodici anni e diciassette melodrammi Verdi di strada ne ha percorsa e che strada! Inoltre Rigoletto inaugura la fatidica trilogia, di cui gli altri due “gemelli”, Il Trovatore (Roma, Teatro Apollo, 1853) e La Traviata (Venezia, Teatro La Fenice , 1853), non potrebbero apparire più diversi da quello venuto alla luce per primo.

Un Rigoletto, eseguito su una piazzetta in una sera d'estate, sembrerebbe “sacro” alla tradizione più rassicurante degli spettacoli caserecci che la provincia offre per lo svago del pubblico locale nonché dei vacanzieri di passaggio. Non è però la stessa cosa a Piacenza, che, ricca di storia, arti e cultura, provinciale non lo è di certo, vantando tra l'altro l'essere stata capitale di un potente ducato.

Lo spettacolo, pur allestito con limitate risorse, è stato preparato con cura, anche per rivalorizzare un angolo suggestivo ma trascurato del centro storico cittadino. La Tampa Lirica , a cui si deve quest'iniziativa, è un'ambiziosa associazione che vivacizza da anni la cultura musicale piacentina. Piazza San Sepolcro, antistante la monumentale chiesa omonima edificata nel Cinquecento dall'architetto piacentino Alessio Tramello (1455-1535), si è prestata a meraviglia per ricreare di fronte a più di cinquecento spettatori la Mantova abbastanza immaginaria di un duca irrefrenabile quanto cinico sciupafemmine (smanioso di portarsele tutte a letto una dopo l'altra) e del suo maldestro buffone. È probabile, oltre che auspicabile, che con il sostegno della benemerita Fondazione di Piacenza e Vigevano, come in questa occasione, le estati a seguire vedranno altri appuntamenti con l'opera sulla stessa piazza.

Prima che il maestro impugnasse la bacchetta, l'attore Maurizio Cammi si è esibito in una breve presentazione fintamente estemporanea dell'opera, menzionando a sproposito Shakespeare e ignorando invece Le roi s'amuse di Victor Hugo (che era assai permaloso). Nel sulfureo dramma di Hugo, che, appena andato in scena a Parigi nel 1832, aveva visto scatenarglisi contro la censura, il sovrano libertino era il re francese Francesco I, mentre il buffone riprendeva liberamente le sembianze di un personaggio storico dell'epoca. Francesco Maria Piave aveva poi messo a tortura l'ingegno per rendere la vicenda accettabile per i censori veneziani, scrivendo versi vigorosi, incisivi ed espressivi (Rigoletto è fuor di dubbio uno dei suoi libretti più pregevoli), versi a cui – lo si ascolta – aveva corrisposto magnificamente il genio creatore di Verdi.

Sobria ed efficace la regia di Artemio Cabassi, al quale si devono anche i bei costumi rinascimentali. L'azione si svolge su una piattaforma posta alla sommità della balaustrata di San Sepolcro, con pochi, essenziali arredi di scena, mentre sulla facciata appariscono gigantografie di celebri affreschi mantovani. Il limitato spazio scenico ha reso necessario ridurre all'essenziale i movimenti di cori e solisti senza nuocere alla loro fluidità.

Il Duca di Mantova è l'unico tenore verdiano irreparabilmente negativo: antieroico, mendace persino con se stesso, fatuo, imbevuto del suo fascino e del suo potere dispotico, sicuro di pervenire sempre ai propri fini. Si confronti la disperazione dell'innamorato Rodolfo - che si crede tradito dall'amata - di 'Quando le sere al placido' in Luisa Miller con l'insincera, narcisistica autocommiserazione di 'Ella mi fu rapita'.

Oreste Cosimo, grazie all'elegante e slanciata silhouette di under 30, lo disegna in abile gioco, con l'impeto e la verve prestati al cangiante principe. Canta con cattivante freschezza e versatile disinvoltura, benché gli manchino ancora una più accorta padronanza e una maggiore messa a fuoco delle notevoli risorse vocali.

Gilda (quante non ne abbiamo viste e ascoltate?) trova una felice incarnazione nel soprano Svetlana Kalinichenko, le cui note cristalline e ispirate delineano efficacemente un personaggio in un certo senso atipico nell'universo melodrammaturgico verdiano e lo impongono con autorevolezza sulla scena. Mi permetto di citare la collega Elisa Malacalza, che nel quotidiano piacentino La Libertà ha scritto: «la bella Kalinichenko ha la qualità tecnica del soprano di tradizione, squisita, e propone una Gilda “bambolesca”, come le innamorate distrutte, fino al sacrificio con il pugnale di Sparafucile».

Rigoletto è stato incarnato universalmente nei più disparati colori e calibri dai maggiori come dai minori. Che altro aggiungere a tanta varietà? Il baritono Valentino Salvini “giocava” in casa. La sua è stata un'onorevole, asciutta prestazione, vocalmente calibrata ed eloquente, che ha reso credibile e umano il buffone - ora nell'irrisione feroce, nella paterna sollecitudine, nell'implorazione impotente, nella vendetta terribile o nella sconfinata desolazione della conclusione - senza calcare la mano, grazie anche a Cabassi, su deformità fisiche e lazzi istrionici. Il suo mestiere è far ridere e divertire e lo esercita con poca convinzione tra rassegnazione e rancore. È plumbeo il Rigoletto di Salvini, condannato a gravitare in quella corte “dannata”, lui non meno ignobile di coloro che hanno spinto la rapita Gilda nel letto del Duca. Chi ci dice infatti che quando lo stesso Duca prestava le sue “attenzioni” alla figlia del Conte di Monterone - quello della maledizione - non ci abbia messo lo zampino anche il buffone, come quando si è lasciato facilmente indurre a prender parte al finto ratto della Contessa di Ceprano?

Il basso Mattia Denti, trucido quanto basta nei panni dell' “onesto” professional killer Sparafucile, ha convinto in virtù di un solido e accattivante registro grave. Quanto alla sorella, Maddalena, che succube del fratello ha il compito di attirare in trappola i candidati al... trapasso, anche una donna di strada può avere un cuore e dei sentimenti ed una sua “innocenza”: questa lettura era avvalorata dalla sensuale e vibrante prestazione del mezzo soprano Daniela Ruzza. Il giovanissimo basso-baritono Juliusz Loranzi si è calato con prestigio nel breve ma impegnativo ruolo del Conte di Monterone. Più che una promettente Giovanna il mezzo soprano Paola Lo Curto e bene tutti gli altri: Luca Marcheselli (Conte di Ceprano), Giulia Guarneri (Contessa di Ceprano), Bruno Nogara (Borsa) e Enrico Gaudino (Marullo).

L'Orchestra Filarmonica Italiana, composta di 38 elementi, si è fatta valere, guidata con esperta mano da Fabrizio Cassi, lungo il variegato percorso della trascinante partitura verdiana. Il Coro Lirico Terre Verdiane, che si è giovato della competenza del maestro Corrado Casati, ha dato un valido contributo allo spettacolo, che ha riscosso applausi ripetuti ed entusiastici dal pubblico intervenuto.

Fulvio Stefano Lo Presti

2/8/2015