RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Una vendetta… non proprio tremenda

Rigoletto è certamente una delle opere più famose e amate, e non solo in Italia, del Cigno di Bussetto, e tutti gli amanti dell'opera lirica, per non parlare di chi di musica si occupa attivamente e quasi giorno per giorno, hanno nelle orecchie edizioni rese immortali dalla grandezza degli interpreti e dei direttori d'orchestra: è logico dunque che chi, in tempi odierni, voglia cimentarsi nell'esecuzione di questo capolavoro, capisca che non è possibile scendere sotto un certo livello, diciamo di guardia, onde evitare di veder naufragare miseramente il proprio tentativo. È vero anche che il pubblico, di intenditori o meno, deve evitare di compiere continui raffronti mentali con i grandi del passato (ma anche del presente), e ascoltare con una certa serenità e pazienza, comprendendo che possono certo esistere interpretazioni più o meno valide, idee orchestrali più o meno congruenti, regie più o meno accorte, ma che comunque il risultato, come sempre accade con l'opera lirica che poco o nulla ha da spartire con le partite di calcio, va comunque valutato nell'insieme, perdonando magari un timbro poco bronzeo, un acuto non eseguito, un taglio non aperto, se però il prodotto nella sua complessità è di discreto livello, fedele alle intenzioni dell'autore, e più in generale se non si limita a un'anodina esecuzione dove magari le note ci sono tutte, ma quel che manca è il senso generale, l'atmosfera, la pregnanza delle passioni e del messaggio veicolato dal compositore e dal librettista.

Questa premessa era necessaria onde rendere conto ai nostri lettori del Rigoletto andato in scena a Taormina l'11 luglio al Teatro Antico (con replica il 15) per il Sesto Senso Opera Festival, prodotto e organizzato da Orangeblu e diretto da Marcello Giordani e Peppe Vessicchio. La regia dell'opera di Verdi era di Bruno Torrisi, che ha optato per una messinscena tutto sommato tradizionale e rispondente ai dettami del libretto, tranne un alquanto inutile apertura con Rigoletto riverso sul sacco contenente il cadavere di Gilda durante il preludio dell'atto I, sacco che verrà portato via da tre figure femminili ammantate di nero prima che la festa del Duca di Mantova inizi: questo vezzo di riempire gli spazi orchestrali è sempre più diffuso, ma può avere un senso, a parer nostro, solo quando risulti effettivamente funzionale a un approfondimento della vicenda, a una sua esplicitazione, a evidenziare magari sensi riposti. Qui invece si riduceva a un tentativo piuttosto banale di dare una sensazione di flashback che non trovava poi alcun seguito, visto che l'opera proseguiva pedissequamente secondo le indicazioni del libretto di Piave.

Tolto comunque questo piccolo episodio, si trattava come già detto di una regia fedele, con buone soluzioni soprattutto per quanto riguarda la scena del rapimento di Gilda, funzionale alla dimensione del teatro all'aperto, con un buon taglio luci, anche se le movenze dei cantanti e la collocazione del coro risultavano alquanto stereotipe e convenzionali, come del resto anche i costumi, privi nel loro complesso, specie nel primo atto, di quella sontuosità che avrebbe conferito maggior fascino alla scena del ballo. Come è ormai pratica consueta, la musica che durante la festa dovrebbe provenire dal retro del palcoscenico veniva comunque suonata dall'orchestra in buca.

Dal punto di vista prettamente musicale, va purtroppo detto che il punto più debole e insoddisfacente è stato quello della direzione orchestrale, affidata al maestro Angelo Gabrielli che dirigeva la Medisonus Orchestra: a prescindere da un incerto attacco della prima nota dell'opera, che ha lasciato alquanto perplessi, ma è un incidente che può capitare a chiunque, il prosieguo dell'esecuzione ha evidenziato da un lato altre e più notevoli lacune, soprattutto per quel che riguarda la scelta dei tempi, spesso troppo slargati e alquanto sbilanciati nel rapporto aria-cabaletta (Ella mi fu rapita e poi Possente amor mi chiama eseguito quasi con la stessa velocità, anche nella lodevole ripetizione della cabaletta), con viceversa una velocità eccessiva che ha pressoché vanificato l'effetto della celebre Sì, vendetta, tremenda vendetta, la cui esecuzione è risultata affrettata, quasi convulsa e priva di ogni senso drammatico. Né andava meglio per le parti di Gilda, dove l'eccessivo slargamento ha spesso nuociuto alla tenuta di fiato dell'interprete, con un imbarazzante momento di totale scollatura tra buca e cantante nella celeberrima Caro nome.

Un ultimo e più grave difetto è stato quello di aver sbilanciato l'organico orchestrale, con un numero troppo ridotto di archi, il che ha determinato a tratti un effetto banda e in generale un mediocre colore, dal momento che, mancando proprio il cuscino degli archi, ciò che appunto dovrebbe assicurare coesione e morbidezza di suono, il tutto risultava alquanto aspro e metallico, e con una frequente tendenza a sovrastare i cantanti, talvolta assolutamente sommersi dall'orchestra.

Buona invece la prova del coro diretto dal maestro Gaetano Costa, che ha dato prova di grande coesione e di una notevole attenzione al ritmo, costituendo senz'altro uno dei più efficaci punti di forza della rappresentazione. Di buon livello anche i comprimari, in particolare Giovanni Guagliardo, Marullo, Gaetano Triscari, un Conte di Monterone dalla vocalità molto interessante, Gianni Giuga, il Conte di Ceprano, Riccardo Palazzo, Borsa, e la brava Sabrina Messina, che ha interpretato sia la Contessa di Ceprano che Giovanna.

Dario Russo è stato uno Sparafucile cupo e incisivo, esibendo un ottimo controllo vocale e una notevole zona grave, che ha sfruttato egregiamente nel duetto del primo atto con Rigoletto, mentre il contralto Agostina Smimmero non è riuscita a infondere alla sua Maddalena tutta la sensualità e la furbizia popolana del personaggio, risultando alquanto pesante da un punto di vista vocale sia nel duetto col Duca, ma soprattutto nel celebre quartetto Bella figlia dell'amore.

Ottima invece la prova del giovane tenore Raffaele Abete nei panni del Duca di Mantova: voce dal timbro caldo e brunito, dotato di una notevole estensione e di un buon controllo vocale, si è distinto soprattutto per l'innata musicalità, la copertura degli acuti e l'ottima dizione, in un crescendo di qualità che, dopo qualche incertezza in Questa o quella, lo ha portato a superare egregiamente tutta l'opera, riscuotendo un personale successo sia nella cabaletta Possente amor mi chiama che ne La donna è mobile. È da augurarsi che maturi ancor di più come cantante, perfezionandosi tecnicamente e curando di più i centri, cosa che gli permetterà di cimentarsi in ruoli verdiani ancor più impegnativi.

Desirèe Rancatore, Gilda, non è sembrata purtroppo molto a suo agio nella parte: sovente impacciata e tesa, ha mostrato talvolta dei veri e propri cedimenti nella tenuta del fiato e una debolezza nella zona centrale che l'ha spesso resa scarsamente udibile. Da segnalare comunque la sua esecuzione di Caro nome, che ha interpretato con estrema dolcezza, pur concedendosi parecchi sconti di acuti nella parte finale. Molto intenso invece il finale, dove la sua innata musicalità e la morbidezza di emissione le hanno consentito di cantare in maniera commovente la morte di Gilda tra le braccia del padre.

Il Rigoletto di Giovanni Meoni, pur se cantato in maniera abbastanza corretta, è risultato notevolmente al di sotto delle aspettative: voce poco brunita, più adatta a ruoli di baritono leggero che a quelli verdiani, non ha saputo infondere né la giusta drammaticità ai recitativi, né alcuna dolorosa pregnanza ai momenti in cui la dimensione del padre prende il sopravvento su quella del buffone. Abbastanza a proprio agio nel primo atto, è rimasto invece ben al di qua del personaggio nel secondo, non riuscendo a far emergere né la cupa disperazione del padre (solo in Deh, non parlare al misero ha saputo trovare accenti di commovente dolcezza e di serena distensione della vocalità), né l'ira impotente e disperata del gobbo difforme: non è riuscito insomma a esprimere la polidimensionalità di Rigoletto, il suo essere contemporaneamente padre, diverso e buffone, in un mancato approfondimento del personaggio che si è tradotto purtroppo in un'esecuzione quanto mai banale e approssimativa del Sì, vendetta, tremenda vendetta, e in un finale poco incisivo, eseguito più che interpretato, che ha lasciato alquanto indifferente l'uditorio.

Applausi cortesi ma molto misurati al termine dello spettacolo.

Giuliana Cutore

12/7/2018