RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Rosmonda d'Inghilterra

al Festival Donizetti 2016

Il secondo titolo al Festival Donizetti 2016 è stato Rosmonda d'Inghilterra nella sua prima realizzazione scenica in tempi moderni. Opera seria in due atti, seconda in ordine cronologico che il compositore scrisse per la compagnia di Lanari al Teatro alla Pergola di Firenze per la Stagione di Carnevale del 1834. Composta solo due mesi dopo Lucrezia Borgia, per la prima vantava un cast superlativo: Fanny Tacchinardi-Persiani (protagonista, suo primo ruolo donizettiano), Anna Del Sere (Leonora), Gilbert Duprez (Enrico II), Carlo Porto (Clifford) e Giuseppina Merola (Arturo). La vicenda, su libretto di Felice Romani, narra le vicende alla corte d'Inghilterra nel XII secolo dell'amore extraconiugale tra il Re Enrico II e la giovane Rosamon Clifford, il quale provocò la vendetta della potente Regina Eleonora d'Aquitania. Le vicende storiche non si conclusero come nell'opera, anche se Leonora fu acerrima nemica del marito sia politicamente sia per la sua relazione, ormai palese a tutti, con la giovane Clifford. In origine il libretto fu scritto per Carlo Coccia (1829), poi quando fu musicato da Donizetti, Romani apportò alcune modifiche. A nessun'altra opera del bergamasco di questo periodo toccò sorte così limitata, dopo Firenze vi fu una sola ripresa nel 1845 a Livorno. Nel secolo XX la riscoperta per una appena nata Opera-Rara a Londra in forma di concerto, un'incisione discografica negli anni '90, senza tralasciare due memorabili e forse insuperate incisioni dell'aria di sortita di Rosmonda interpretate da Joan Sutherland e Beverly Sills.

Qualche musicologo ha rilevato che Rosmonda rappresenta un affievolimento dell'energia creativa di Donizetti e pur sfoderando la consueta padronanza di mestiere e un'incisiva scioltezza di rado riesce a commuovere lo spettatore. Inoltre, sul piano drammaturgico musicale non mette bene a fuoco i personaggi. Personalmente mi dissocio dal primo punto poiché qui troviamo un Donizetti che sperimenta e attua nuove forme di spettacolo: riprende un tema a lui caro, la rivalità tra due primedonne, ma lascia perplessi per un finale veramente drammatico ma poco usuale, che finisce con una chiusura “tronca” dopo l'assassinio della protagonista. Non mancano pagine di altissimo valore, concertati raffinati e duetti di forte tensione teatrale (come quello del II atto tra Enrico e Leonora), anche se l'autore avrebbe potuto scolpire con maggior enfasi alcune caratteristiche dei protagonisti. Resta indubbia la solida mano del musicista e una musica che forse non rapirà l'ascoltatore ma è di elevata fattura. L'aspetto del finale “deludente” fu ripensato dallo stesso compositore nel 1837 quando utilizzò la musica per un parziale rifacimento, intitolato Eleonora di Gujenna, per la quale aggiunse un ensemble e una cabaletta in stile ottocentesco per la Regina d'Inghilterra, però l'opera non fu mai rappresentata.

Non lascia segno efficace l'allestimento ideato da Paola Rota assieme a Nicolas Bovey, scenografo e disegno luci. Ambiente lugubre e spoglio, arredi quasi inesistenti. La corte inglese non era particolarmente fiorita al tempo ma qui si eccede. Ci sono due pareti mobili appese in graticcia, che sono spostate a vista da mimi creando una scena piuttosto banale. Tolto l'aspetto visivo, che forse voleva rappresentare il torbido momento storico, Rosmonda rinchiusa in un castello e la drammatica tensione tra i coniugi reali, quello che manca è una precisa e indicativa linea drammaturgica sui personaggi. La protagonista relegata in una gestualità da bambola in custodia, il re per niente regale e autorevole, Clifford un padre in bilico tra il sentimentale e il pietismo, la regina austera e regale, messa in evidenza più dall'arte della cantante che dalla regista, il coro ridotto a comparsa di entrata e uscita. I costumi di Massimo Cantini Parrini erano invece tutti di grande fattura e classe, ma si distinguevano in particolare quelli di Eleonora.

Sebastiano Rolli, direttore e concertatore, a capo dell'Orchestra Donizetti Festival ha imposto una lettura molto rilevante sia nel ritmo sia nella sequenza drammatica delle variegate sonorità, sempre controllate e molto raffinate. Attento e preciso nel rapporto con il palcoscenico mantiene un equilibrio teatrale molto efficace, sovente aiutando i singoli, e creando un'atmosfera tersa e di grande effetto. Ottima la prova dell'Orchestra, la quale ha avuto un notevole miglioramento rispetto a edizioni passate. Rilevante anche l'esibizione del Coro Donizetti Opera, istruito da Fabio Tartari, che già da qualche tempo assicura prestazioni di altro profilo.

Jessica Pratt, la protagonista, riconferma le sue peculiari doti vocali di belcantista, tuttavia dobbiamo rilevare una sommaria piattezza nell'aria di sortita e un fraseggio poco incisivo, sempre preoccupata a far risaltare la zona acuta a scapito delle sezioni centrali. Il personaggio, nella prima parte, era abbozzato e quasi inerme, diversamente nel secondo atto ha reso il ruolo con più carattere e maggiore accento canoro essendo nell'insieme credibile ma non uniforme nell'intera opera.

Al contrario Eva Mei, Leonora, ha offerto una prova sbalorditiva in un ruolo di forte drammaticità e impegnando lo strumento vocale in zona centrale-grave, da lei non abitualmente frequentata. Bravissima nella modulazione dei colori, fraseggio eloquente, dinamiche negli accenti davvero ragguardevoli, cui bisogna sommare, e non è da meno, una presenza scenica stupefacente, una vera donna forte e risoluta. Una prova da lodare appieno.

Dario Schmunck, Enrico II, doveva affrontare una parte molto ardua (scritta per il citato Duprez) dovendo cantare in una zona acuta da tipico tenore belcantista assieme a un centro non meno indicativo per accento e pastosità di timbro. Dobbiamo affermare che le alternative a questo ruolo non erano molte, anzi poche a dire il vero, e Schmunck ha fatto il possibile con le sue capacità, ma era l'anello debole della produzione. Non dotato di timbro affascinante, ha reso con sufficienza nel settore acuto, molto al limite, a scapito della sezione grave spesso afona e dimostrando spesso una certa fatica a sostenere il ruolo, anche se si deve ammirare l'impegno e l'enfasi dimostrata pur non raggiungendo vertici eguali alle colleghe.

Molto buona la prova di Nicola Ulivieri, Clifford, al cui ruolo non sarebbe guastata un'aria, ma il cantante trentino ha reso con grande carisma il nobile padre guerriero e risoluto nell'imporre i suoi voleri alla figlia. Bravissimo sotto il profilo vocale con un canto morbido, rotondo sempre controllato e ricco di accenti affascinanti.

Altrettanto possiamo affermare per Raffaella Lupinacci, Arturo, una cantante in continua ascesa che anche in quest'occasione ha avuto modo di mettere in luce le sue buone qualità di mezzosoprano assieme ad un rigoglioso settore acuto e un personaggio ben interpretato.

Per questa prima esecuzione scenica il Teatro Donizetti era esaurito in ogni ordine di posto, e questo era un bel vedere. Il pubblico ha promosso con calorosi applausi tutti i cantanti e il direttore, meno soddisfatto della parte visiva si sono registrati non isolati dissensi all'uscita del team tecnico-artistico.

Lukas Franceschini

2/12/2016

Le foto del servizio sono di ROTA GFR Bergamo.