RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il ritorno di Rosmonda d'Inghilterra

a Firenze

La sala del nuovo Teatro dell'Opera di Firenze nel quartiere Leopolda, enorme e magnifico parallelepipedo di 1800 posti concepito dagli Architetti associati Arlotti, Beccu, Desideri e Raimondo e realizzato dall'impresa SAC, ha accolto a metà ottobre tre esecuzioni in forma oratoriale di Rosmonda d'Inghilterra di Gaetano di Donizetti. Seconda ed ultima opera fiorentina di Donizetti (preceduta da Parisina nel 1833), dopo il propizio battesimo del Teatro alla Pergola il 27 febbraio 1834 non era stata più eseguita né a Firenze né altrove in Italia, con l'eccezione della solitaria ripresa al Teatro Rossini di Livorno nel 1845. A trarla dall'oblio a Londra e a Belfast nel 1975 aveva provveduto con il suo benemerito ardore pionieristico la londinese Opera Rara, a cui si deve la successiva registrazione in CD (1994), e Rosmonda era poi felicemente approdata nel 2004 a Gelsenkirchen (dove, tra il plaudente pubblico tedesco, si trovava anche lo scrivente). La Rosmonda di adesso è il frutto di una coproduzione col Teatro Donizetti di Bergamo, dove riapparirà ma in forma scenica alla fine di novembre (e verrà registrata in DVD).

Rosamund Clifford, amante di Enrico II Plantageneto re d'Inghilterra nella seconda metà del dodicesimo secolo, ha impresso maggiori orme nella leggenda e nel mito come nelle arti, dalla poesia alla pittura alla musica, che non nella storia, facendo parlare di sé nei secoli più di qualunque altra amante di un sovrano britannico nonostante le scarne certezze storiche. È in ogni caso leggenda che la legittima consorte di Enrico, cioè la poco remissiva Eleonora d'Aquitania, si sia vendicata uccidendola. Ma una morte incruenta della rivale avrebbe offerto meno appigli all'affabulazione, che invece ha trovato proprio nella vendetta perpetrata dalla regina un appropriato dénouement tragico. È questa ovviamente la conclusione privilegiata nel melodramma, che, tralasciando quelli di compositori minori, annovera, oltre alla donizettiana, le opere di Carlo Coccia (Venezia 1829), Luigi Majocchi (Milano 1831) e Otto Nicolai (Trieste 1839).

Il libretto di Felice Romani, già fornito a Coccia, passò con poche modifiche nelle mani del Bergamasco e fu l'ultima collaborazione di Romani con lui (Romani aveva nel frattempo mollato e assai poco cavallerescamente Bellini). Nel 1837 Donizetti rimaneggiò Rosmonda per Napoli con il titolo Eleonora di Gujenna , invertendo così i ruoli tra protagonista e deuteragonista della versione fiorentina. Tale seconda versione tuttavia non andò in scena, si ignora se perché proibita dalla censura borbonica o impedita da altre ragioni. E dell'opera non sopravvisse per il resto dell'800 che l'aria di sortita di Rosmonda ‘Perché non ho del vento', che Fanny Tacchinardi-Persiani, protagonista a Firenze, volle inserire in Lucia di Lammermoor, al posto di ‘Regnava nel silenzio' e che poi lo stesso Donizetti trasferì nella trasposizione francese, Lucie de Lammermoor (quella che Gustave Flaubert farà ascoltare a Rouen alla propria eroina Emma Bovary).

Situata cronologicamente tra Lucrezia Borgia e Maria Stuarda, Rosmonda non ambisce ad eguagliarne i fasti. Pur contenendo pagine pregevoli, si mantiene per lo più nell'alveo di un buon mestiere teatrale, ma scorre stringata, incisiva ed elegante. Bisogna dire che nelle rare esecuzioni in epoca moderna e nella registrazione in CD si è giovata di volta in volta di interpreti di talento, che ne hanno ampiamente giustificato il recupero. E così è stato anche a Firenze. La stessa forma oratoriale qui adottata non è parsa affatto riduttiva, grazie anche al gusto e alla fantasia degli abbigliamenti e acconciature delle tre donne: la regina, l'amante del re e il paggio della regina en travesti Arturo, sfortunato spasimante di Rosmonda (quest'ultimo in eleganti pantaloni muliebri).

E davvero regale è apparsa Eva Mei, dalla chioma argentea in bel contrasto con la bionda rivale (a Gelsenkirchen invece la regina era bionda e l'amante bruna), più che convincente quale consorte gelosa e furente e tuttora innamorata di fronte alla fragile e tenera Jessica Pratt, combattuta da tutti i lati: il re, presentatosi a lei dapprima sotto mentite spoglie, la regina, il padre e per di più il paggio.

Sin dall'energica e marziale ouverture, si è messa bene in evidenza l'autorevole direzione di Sebastiano Rolli, attento a guidare con duttile braccio la vigorosa e agguerrita orchestra del Maggio Musicale Fiorentino da un lato e le voci di solisti e del Coro, affidato a Lorenzo Fratini, dall'altro. Incalza senza forzare Rolli, vegliando a dosare opportunamente le dinamiche e a mantenere fluido ed eloquente lo strumentale. In partenza voci dello stesso calibro vocale, i due soprani si accostano e si differenziano in felice alternanza. La Mei, con l'esperienza maturata in più anni, disegna un'Eleonora appassionata e veemente, a cui non è negata la dolcezza, furente e vendicativa quando occorre, senza quell'approccio di inesorabile quasi aspra drammaticità delle regine di Opera Rara e in ciò decisamente più vicina all'Eleonora di Gelsenkirchen, il soprano Anke Sieloff (il CD della Rosmonda di Gelsenkirchen è ugualmente reperibile). Le fa da contraltare la Rosmonda di Jessica Pratt, vibrante e trepida nella sua vulnerabile femminilità, delicata e ardente, oppressa e delirante, che nel ruolo belcantistico concepito su misura per Fanny Tacchinardi-Persiani e virtuosamente affrontato sembra aver trovato il proprio terreno di elezione.

Michael Spyres si cimenta con balda prestanza con il personaggio non troppo eroico di Enrico II (intendendo quello del melodramma), pienamente a suo agio con stile, potenza, morbidezza ed espressività di Donizetti, confermando en passant che la salvezza del bel canto italiano continua a venire d'Oltreoceano.

Secondari ma non troppo l'inflessibile genitore di Rosmonda, il nobile Clifford, e il paggio Arturo perduto dietro l'amore impossibile. Clifford lo ha impersonato il basso Nicola Ulivieri, fiero e signorile, morbido e perentorio. Raffaella Lupinacci, mezzosoprano acuto con buone frequentazioni rossiniane, si è fatta valere in un ruolo quasi da contralto, dimostrandosi paggio d'alto lignaggio e di raffinata eloquenza. Quanto al Coro, in prevalenza maschile, i numerosi interventi di varia indole lo hanno trovato puntuale e prezioso. Il pubblico che riempiva i 1800 posti non ha lesinato il proprio entusiasmo.

Fulvio Stefano Lo Presti

6/11/2016