RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Il Pesarese in Belgio

GUILLAUME TELL

(Opéra Royal de la Monnaie, Bruxelles, 9 marzo)

Sarebbe azzardato considerare Guillaume Tell (Parigi, Salle Le Peletier, 3 agosto 1829) la prima opera prerisorgimentale italiana, benché creata oltralpe in lingua francese e per il pubblico parigino? E da quali penetrali il Pesarese, stimato non a torto legittimista, codino, addirittura reazionario, avrebbe attinto quel prepotente soffio di libertà, spinta se necessario al tirannicidio, che anima dalla prima nota fino all'ultima l'incomparabile, monumentale partitura del Tell? Già, da dove? Se non fosse che l'ormai trentasettenne compositore, giunto al trentanovesimo lavoro teatrale (l'ultimo dell'imponente serie, ma non ne era ancora consapevole), avrà ricordato di essere pur sempre figlio del modesto trombetta romagnolo Giuseppe Rossini, che era stato a suo tempo autarchico giacobino nello Stato Pontificio con tutti i rischi e le conseguenze che ciò comportava. Avrà ricordato inoltre di avere nel frattempo musicato soggetti non proprio anodini quali i due Mosè, Maometto II e Le siège de Corinthe.

Anche per un teatro del prestigio della Monnaie allestire un Guillaume Tell rappresenta una temibile sfida, dopo l'ardua impresa di radunare un cast all'altezza. Trattandosi in questo caso di un grand opéra, si rende ineludibile disporre altresì di un corpo di ballo per le scene coreografiche. Optare per la versione in forma di concerto è fino a un certo punto un ripiego, tanto più che i pubblici stranieri sono avvezzi alle versioni oratoriali. Il vantaggio è semmai rappresentato dalla possibilità di concentrare l'attenzione sulla stupenda inventiva melodica e strumentale profusa a piene mani da Rossini - musica rapinosa come un fiume in piena - nel gigantesco affresco, ricavato dai librettisti Étienne de Jouy e Hippolite Bis dall'omonimo dramma di Friedrich Schiller (Weimar 1804).

Nel Guillaume Tell diretto da Evelino Pidò, alla guida della valorosa Orchestra sinfonica della Monnaie, si evidenzia la sintesi della fervente e calibrata concertazione nonché la cura dei dettagli, con una costante attenzione alle voci. Ha fatto da biglietto da visita l'elettrizzante ouverture, a cui soltanto quella di Semiramide rapisce il primato. Il Coro della Monnaie e il suo direttore Martino Faggiani non hanno bisogno di aggettivi e li ha secondati nello strenuo impegno l'altro coro, quello del Vocaal Ensemble Reflection diretto da Zygmunt Kowalski.

Dai momenti individuali ai confronti, dagli insiemi ai trascinanti finali, nel succedersi dei climi del dramma, sono emersi con cospicui esiti i contributi dei singoli e delle masse. Nei tre ruoli principali hanno cantato il baritono siciliano Nicola Alaimo (Guillaume Tell), il soprano albanese Ermonela Jaho (Mathilde) e il tenore americano Michael Spyres (Arnold). Solido e scultoreo eroe svizzero, Alaimo ne ha messo in luce la statura morale di padre, patriota e uomo libero, che un'incrollabile fede in Dio arma a sfidare la tirannia. Spyres concilia felicemente nel suo personaggio belcanto e conflitto di sentimenti. La Jaho, di cui non va taciuto l'avvincente fascino muliebre, è di volta in volta tenera, appassionata, trepida, violenta, ma, nel succedersi degli stati d'animo, mantiene la padronanza della voce con grazia e lucentezza di emissione.

Tra gli altri, nei numerosi secondi ruoli, si stagliano il patriarcale Melcthal del basso Jean Teitgen e l'imperioso e spietato governatore austriaco Gesler dell'altro basso Vincent Le Texier. Fanno loro onorevole corona il basso Marco Spotti (Walter Furst), il baritono Jean-Luc Ballestra (Leuthold), il tenore Julien Dran (Ruodi), il soprano Ilse Eerens (Jemmy), il mezzo soprano Nora Gubisch (Hedwige) e il tenore Roberto Covatta (Rodolphe).

Si è ascoltata la musica dei balletti, ma l'inspiegabile amputazione di alcune scene importanti nel quarto atto ha privato gli spettatori del pieno godimento di un'opera che non è particolarmente frequente.

Fulvio Stefano Lo Presti

29/4/2014