Spiritualità della Terza di Mahler

Se nella concezione di Gustav Mahler la sinfonia deve contenere un'aspirazione oltremondana la Terza, con le sue proporzioni colossali e i suoi variegati atteggiamenti, è fra quelle che maggiormente tendono verso una dimensione trascendente. Nella visione di Daniel Harding, che del corpus mahleriano sta fornendo integrale esecuzione all'Accademia di S. Cecilia, tutto viene risolto nella perfetta analisi formale, nel calibrato dosaggio dei timbri, nel bilanciamento esatto delle parti che compongono l'architettura sinfonica. In quest'ottica il sentimento panico del primo tempo non sfocia in eccessi selvatici, ma mantiene costante una misura lontana da qualsiasi tentazione retorica. Invano qui si cercherebbero anticipazioni espressioniste o prefigurazioni degli orrori novecenteschi. Il Mahler di Harding riluce di una patina dorata, come certe tele di Gustav Klimt, e non si inoltra nelle tormentate carni come farebbe Egon Schiele. Il perpetuo mutare dell'universo non sfiora mai i limiti del caos, ma si mantiene nei limiti di una cosmogonia apollinea. Nel secondo movimento l'ombra del passato trascorre di fronte ai nostri occhi, ma non si ammanta di struggente nostalgia. Il tessuto sonoro appare perfettamente controllato, lucido come un mobile antico appena riportato all'antico splendore. Nel terzo movimento il romanzesco ripiega nel Lied. Il paesaggio naturalistico, costellato dagli animali del bosco, ci conduce in atmosfere di fiaba. L'episodio della cornetta del postiglione sospende la temporalità terrena per trasportare l'ascoltatore in altri mondi. Nel quarto movimento l'enigmatico testo di Nietzsche apre il sipario su scenari crepuscolari. Il contralto Wiebke Lehmkuhl trova accenti di grande suggestione, come se la vocalità provenisse da una dimensione astratta eppure presente, totalmente in sintonia con il tessuto sinfonico. Nel quinto movimento il Coro delle voci bianche, ben preparato da Claudia Morelli, intona il suono onomatopeico delle campane delineando suggestive atmosfere visionarie. Il sesto movimento è fra i grandi finali mahleriani, con gli archi setosi e quasi ultraterreni, densi eppure immateriali. Harding dà qui il meglio di sé, modellando ondate successive di intenso lirismo. L'eco del Parsifal wagneriano evoca una spiritualità lontana da qualsiasi ortodossia, pervasa dal sentimento del congedo e da presagi di morte. Eccellente l'Orchestra dell'Accademia, a parte qualche trascurabile sbavatura degli ottoni nel finale. Di rilievo anche la prova del Coro guidato da Andrea Secchi. La presente recensione si riferisce alla prima serata del 18 dicembre.
Riccardo Cenci
20/12/2025
La foto del servizio è di MUSA.
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