RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Una Traviata travisata

al Teatro Massimo Bellini di Catania

Considerata unanimemente una delle pietre miliari di tutta la storia del teatro d'opera, La Traviata di Giuseppe Verdi rimane uno dei capolavori più rappresentati in tutti i teatri del mondo e pertanto la sua messa in scena richiede sempre una certa dose di coraggio, poiché le comparazioni con celebri e celebrate registrazioni ed edizioni del passato remoto e prossimo possono sempre dare adito a valutazioni che talvolta rischiano di apparire eccessive e ingenerose ma che tuttavia si affacciano e si affollano spontaneamente, quasi per forza d'inerzia, nelle mente del critico e dello spettatore.

Questo ci sembra sia il caso dell'ennesima edizione de La Traviata curata dalla Fondazione Teatro Massimo di Palermo e andata in scena al Bellini di Catania in prima rappresentazione (turno A) venerdì 16 marzo, con repliche fino al 23, che pur risultando nel complesso piacevole e gradevole ha evidenziato qua e là delle incongruenze che ne hanno limitato il successo.

In primis l'idea registica che sposta in avanti l'azione di oltre mezzo secolo, ambientandola nella Palermo della Belle Époque, ammiccando per la protagonista eponima alla figura di donna Franca Florio, ci è parsa superflua e comunque non funzionale, poiché nulla aggiungeva e nulla toglieva allo stesso dramma che veniva presentato con abbigliamenti e sfondi scenici e scenografici stile Art Noveau. Inoltre tale ambientazione allusiva e mai esplicitamente dichiarata (se non negli appunti di regia), ci si perdoni la pedanteria, veniva a scontrarsi concretamente con le parole di un libretto che non fa altro che ribadire il luogo nel quale si svolge l'azione, cioè Parigi, per culminare al terzo atto con il duetto “Parigi, o cara noi lasceremo”. Pertanto tale ambientazione Liberty e tutta siciliana cui prodest? Non sicuramente al testo, né al ductus del dramma, né alla partitura, che restano immutati! A parte tale inutile superfetazione geografica e cronologica la regia di Mario Pontiggia si è rivelata nel complesso gradevole anche se alquanto statico, e poco dinamico rimaneva il movimento delle masse corali sul palcoscenico. Accattivanti e aggraziate si rivelavano le scene di Francesco Zito e Antonella Conte così come i magnifici costumi dello stesso Zito e le luci di Bruno Ciulli.

Jordi Bernàcer ha diretto l'orchestra e il coro (addestrato da Gea Garatti Ansini) del nostro teatro con un certo piglio e grinta, anche se talvolta i tempi risultavano troppo sostenuti e poco equilibrati, al punto da impedire le giuste pause di presa di fiato ai cantanti. La buona professionalità e salda tecnica di Daniela Schillaci le hanno permesso di ben destreggiarsi nella parte di Violetta. La valida e significativa prorompenza vocale, evidenziata nella zona centrale e acuta, purtroppo talvolta stridula e gridata, mostrava delle defaillances nella copertura dei sovracuti e incertezze nella conduzione del fraseggio. Javier Palacios (Alfredo) ha offerto una prestazione adeguata alle sue reali e limitate possibilità vocali mentre Piero Terranova (Giorgio Germont) ha esibito una vocalità semplice ma ben tornita e rifinita. In ruolo anche Sabrina Messina (Flora), Carmen Maggiore (Annina), Riccardo Palazzo (Gastone), Angelo Nardinocchi (Barone Douphot), Gianluca Tumino (Marchese d'Obigny), Dante Roberto Muro (Dottor Grenvil), Filippo Micale (Giuseppe), Salvatore Di Salvo (Domestico di Flora).

Il folto pubblico intervenuto alla serata ha tributato calorosi applausi a tutti gli artisti che hanno partecipato allo spettacolo.

Giovanni Pasqualino

17/3/2018

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.