RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Turandot all'Arena di Verona

Ritorna all'Arena l'opera Turandot di Giacomo Puccini nell'allestimento di Franco Zeffirelli del 2010. Diversamente da quando fu proposta come inaugurazione, quest'anno l'opera è stata eseguita nella sua interezza. Allora fu una bizza del regista far terminare lo spettacolo dopo la morte di Liù. Inutile ricordare che era il punto ove il maestro era arrivato con l'orchestrazione al momento di andare a Bruxelles nel 1924 nel vano tentativo di sottoporsi a cure di radioterapia. Nel giro di qualche settimana morì. Tuttavia Puccini aveva un progetto ben chiaro di come terminare l'opera e molti appunti e la musica per pianoforte era stata se non composta abbozzata; fu il rispetto che Arturo Toscanini aveva nei suoi confronti a fermare l'esecuzione scaligera alla prima assoluta in quel punto. Era stato incaricato Franco Alfano di completare il finale cercando di intervenire il meno possibile musicalmente confezionando una drammaturgia conclusiva. Chi scrive è fermamente convinto che Turandot debba essere rappresentata nella sua interezza con il finale Alfano, perché solo così ha un senso la fiaba pucciniana. Ricordo che lo stesso Alfano compose un primo finale, molto interessante musicalmente, che fu bocciato da Toscanini perché troppo invasivo e personale, ed aveva perfettamente ragione. E corretto anche porre l'accento sul fatto che bizze registiche dovrebbero essere tarpate da una sovrintendenza o direzione artistica di teatro.

Lo spettacolo è faraonico come ci si aspetta all'Arena e nel pieno stile zeffirelliano. Anche in questo caso, per coerenza, diciamo che non fu proprio una nuova produzione ma un rifacimento dell'originale messa in scena scaligera del 1983, poi rielaborato e ingrandito per il Metropolitan nel 1988. Pertanto nulla di nuovo, la struttura è sempre quella: una grande costruzione a semicerchio con reggia imperiale al centro e nella zona bassa vicino al proscenico la parte plebea di Pechino. Se l'impatto visivo è di grande emozione, sfavillante nei colori cromatici e dorati, non c'è traccia di una regia vera e propria. Secondo l'uso del regista la scena è sovraffollata di comparse che rendono la visione confusa e al limite della sopportazione, comparse, saltimbanchi, soldati, i quali coprono addirittura la visuale dei cantanti. L'effetto è comunque assicurato e il pubblico areniano, quello più sui generis, appagato. Dalla locandina non è chiaro chi abbia ripreso lo spettacolo.

Daniel Oren ha con Puccini un rapporto privilegiato che ha contraddistinto da sempre la sua carriera. Non si smentisce anche in quest'occasione, tempi molti belli e sostenuti, grande abilità nel calibrare le sezioni orchestrali e grande senso teatrale in rapporto con i solisti.

La protagonista Iréne Theorin è un soprano di grande forza espressiva ma gli spazi all'aperto la penalizzano un po', tuttavia trova una cifra interpretativa onesta e le possibilità vocali non mancano. Marco Berti è Calaf molto sotto le attese, pur essendo un tenore abbastanza sicuro, egli è povero di fraseggio, comunicatività, espressione. Il suo canto è sempre forzato e sperperato senza colore e oggi con un registro acuto molto ridimensionato.

Bravissima Maria Agresta nel ruolo di Liù, dalla linea di canto morbida e dolcissima, capace di sfumature e preziosi piani che ci fanno capire quale sia il repertorio da intraprendere a dispetto di alcune scelte bizzarre degli ultimi tempi. Corretto ma senza incisività il Timur di Marco Vinco e non del tutto calibrati i tre ministri, Mattia Olivieri, Paolo Antognetti e Saverio Fiore, tuttavia ben interpretati scenicamente. Buone le altre parti di fianco e particolare menzione per il Coro dell'Arena diretto da Armando Tasso assieme alle brave voci bianche A.d'A.MUS istruite da Marco Tonini

Lukas Franceschini

17/8/2014

Le foto del servizio sono di Ennevi.