Barcellona
Esemplare Werther
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Dopo venticinque anni (si dice presto) tornava il capolavoro di Massenet al Liceu in un allestimento per la regia di Willy Decker, visto per la prima volta parecchio tempo fa a Francoforte. Come accade di solito con gli spettacoli firmati dal regista il livello è notevole per la sobrietà dei mezzi: scene minime ma scorrevoli ed efficaci e costumi – bellissimi – di un Ottocento indefinito, ideati da Wolfgang Gussmann, un gioco stupendo di luci di Hans Toelstede, il tutto ripreso dall'assistente di Decker, Stefan Heinrichs e per l'interpretazione che fa di due esseri tormentati da una società ipocrita e autoritaria. Tranne qualche dettaglio un po' sulle righe, che si potrebbe discutere ma funziona del punto di vista teatrale, tale l'importanza e l'aspetto piuttosto sinistro della coppia Schmidt e Johann, c'è un enorme lavoro su tutti i personaggi, perfino i bambini o i borghesi muti ma cupi che osservano e giudicano tutto e tutti.
Si parli anche dell'ottima impressione della bacchetta vivace e precisa di Alain Altinoglu, di tempi giustissimi, che si avvaleva di un'orchestra che, dopo la recente e bellissima Elettra, sembra finalmente aver raggiunto il livello che si deve chiedere a un grande teatro lirico, ed era ora. Il coro di bambini degli ‘Amics de la Unió de Granollers', istruito da Josep Vila y Jover, suonava molto affiatato, e altrettanto va detto sul lavoro dei comprimari, in particolare di Marc Canturri e Antoni Comas, i suddetti amici del ‘bailli', ruolo che ben si addice ai mezzi vocali e scenici di Stefano Palatchi. Notevole la presenza e il canto della giovanissima Elena Sancho Péreg nei panni dell'adolescente Sophie. Joan Martín-Royo è un bravo baritono, forse un po'troppo giovane e di voce chiara per la parte di ‘Albert'.
Se il protagonista veniva identificato finora con il mitico Alfredo Kraus, si aggiunge adesso al suo il nome di chi è probabilmente il più completo Werther dei nostri giorni, Piotr Beczala. Mi ripeto dunque visto che la sua è stata una prestazione alla pari, se non addirittura migliore, di quella che meno di un anno fa ho recensito da Parigi: fraseggio, timbro, tecnica, senso dello stile, tutto quanto occore e a grande livello, insieme a un'interpretazione sensibile, forse ancora più adatta; molto di più che luminosi acuti e assoli meravigliosi; ogni frase, ogni dettaglio del testo – con un francese davvero da manuale – venivano cesellati in un modo che appunto appartiene solo ai grandi. Col grande vantaggio che qui, come si vede, non era solo lui a rendere giustizia alla partitura. ‘Dulcis in fundo' aveva una Charlotte di altissimo livello – personalmente, la più grande che ho visto su un palcoscenico dai tempi di Régine Crespin nella parte – padrona anch'essa dello stile, le sfumature, la lingua, la linea di canto di una tessitura insidiosa, tra soprano e mezzo, autentico riferimento: Anna Caterina Antonacci, artista e cantante formidabile, finalmente al suo debutto scenico in questo teatro. Magari ritornassero presto, perchè di interpreti come questi due e del maestro Altinoglu abbiamo – qui e altrove – davvero bisogno.
Alla prima Beczala ha dovuto ripetere a furore di popolo, e c'è stato perfino chi, un po' eccitato, ha gridato sei il migliore del mondo “Pourquoi me réveiller?”.
Jorge Binaghi
20/1/2017
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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